martedì 30 aprile 2013

Lo scorpione.

Un uomo stava ritto sulla riva, appoggiato al fusto d'una giovane palma...

pensando che l'indomani avrebbe dovuto lasciare Tebe per andare sulla piana di Giza, insieme ad una moltitudine di schiavi, per ultimare la costruzione della piramide per il faraone Cheope.

Dovette, però, abbandonare subito la sua postazione perchè il suo padrone, gesticolando come una scimmia, lo richiamava ai suoi doveri.

Abir venne svegliato all'alba con il solito assordante, fastidioso e sgraziato suono di un campanaccio. Ancora intontito dal sonno si guardò intorno pensando che sarebbe stata l'utima volta che avrebbe visto quella stanza angusta con le pareti spoglie ed il soffitto umido dove dormivano in più di quindici; pensò anche che, forse, gli sarebbe mancata. Salutò con un sorriso triste l'unico volto amico che vide e uscì.

La piana di Giza era, inizialmente, un'enorme distesa di sabbia dorata che formava dune dai morbidi profili. Adesso, però, era occupata da enormi ammassi di blocchi di pietra perfettamante squadrati, cammelli che trasportavano ogni tipo di attrezzatura e c'erano moltissimi tronchi su cui gli schiavi avevano già cominciato a far scivolare i blocchi verso la Piramide del faraone Cheope.

Abir scoprì presto che la vita alla piana era molto più dura di quanto si diceva: pochissima acqua da bere, lavoro sfiancante sotto il sole rovente tutto il giorno e cibo che, se andava tutto bene, veniva distribuito ogni tre o quattro giorni; in quel momento Abir avrebbe ucciso per avere una ciotola di riso. Non si stupiva che già più della metà dei suoi compagni fosse morta.

Abir aveva perso il conto dei giorni ormai da molto, quando venne chiamato per portare il lussuoso sarcofago all'interno della piramide.

La camera adibita a sepoltura era enorme, le pareti dorate erano affrescate con scene di contadini, di meravigliose parate sul Nilo e con momenti della vita di corte; il sarcofago si posizionava all'esatto centro della camera; intorno ad esso erano già state predisposte le collocazioni dei sacri canopi.

Abir rimase talmente estasiato che si accorse dopo parecchio tempo di essere rimasto solo.
Non avendo mai visto l'interno della costruzione cominciò a vagare inquieto senza meta sussultando ad ogni rumore. Udiva come uno schioccare di dita, regolare, che risuonava tra i corridoi.

Arrivò davanti ad una porta ed entrò.

La sala conteneva ricchezze di ogni sorta, ma Abir non vi badò; fissava incredulo e atterrito uno scorpione enorme, lungo almeno venti centimetri e con una corazza di pece che era stato posto a guardia del tesoro.

Morto. Abir si stava dicendo che era praticamente morto quando vide un pugnale posto qualche metro alla sua sinistra. In un momento di lucida follia decise di tentare il tutto per tutto e scattò veloce come l'aria nella direzione dell'arma.

L'enorme coda velenosa dello scorpione si schiantò nell'esatto punto in cui Abir si trovava due attimi prima.

Quando Abir sentì la mano stringere l'elsa del pugnale si lanciò immediatamente verso la coda dell'insetto che spruzzava veleno.

I sensi gli si annebbiarono per un attimo e, quando si riprese, si accorse della coda mozzata sul pavimento e dell'insetto che gli si avvicinava irato. Abir pregò tutti gli dei e, con una mossa disperata, scagliò il pugnale che si conficcò nella testa dello scorpione uccidendolo.

Abir si accasciò a terra ansimando e ringraziando Anubi per aver voluto aspettare a portarlo nel suo regno.

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