Il sole stava per scomparire
dietro le altissime cime delle immense palme piumate, fra un mare di fuoco che
arrossava le acque del fiume, facendole sembrare bronzo appena fuso, mentre a
levante un vapore violaceo, che diventava di momento in momento più fosco,
annunciava le prime tenebre.
Un uomo stava ritto sulla riva, appoggiato al fusto d'una giovane palma. Ammirava quello spettacolo in silenzio,salutò l’amico fiume,il sole che quella sera sembrava un disco incandescente,finché non s’udirono alcune voci che ruppero la tranquillità. Pareva fossero delle guardie,se lo vedevano,sicuramente l’avrebbero ucciso all’istante. Doveva scappare. Andarsene. Prendere tutto il necessario per vivere e non tornare mai più in quelle terre. Una lacrima gli rigò il viso di carnagione scura.
Un viso
perfetto. Sentiva le voci,i passi,le piante che venivano calpestate,sempre più
vicini. Non c’era più
tempo. Si mise a correre. Il più velocemente possibile. Nessuno doveva riuscire
a vederlo. Giunse sino ad un’enorme e fitta
foresta. Si fermò di colpo per riprendere fiato e nel frattempo sentiva le urla
dei guardiani sempre lì,sempre più vicine:”Eccolo è là! Riuscite a vederlo?”. E di
nuovo a correre più forte,forte come il vento in una tempesta nel deserto. Le
suole dei suoi sandali intrecciati di cuoio a poco a poco parevano consumarsi;
diventavano sempre più sottili ad ogni passo. Ora non sentiva più le voci,ma
continuava a correre ugualmente. Amava correre. Gli piaceva sentire la brezza
che gli scompigliava i lunghi capelli marroni,il profumo delle piante e dell’erba bagnata la tarda sera,i richiami degli
strani volatili. Nessuno lo poteva più fermare ormai,ma mentre era immerso in
questi piacevoli pensieri, inciampò su di una roccia. Cadde a terra,senza
ferite. Guardò quella strana roccia con sguardo sinistro. Aveva inciso degli
ambigui disegni,mai visti prima d’ora. La
prese in mano ed all’improvviso
sentì un qualcosa,una porta fatta di pietra aprirsi alle sue spalle. Si voltò e
vide una specie di caverna,sopra la porta stava un occhio dorato che rifletteva
la sua immagine sul petto dell’uomo
sbalordito. Voleva e doveva entrare. Un qualcosa di avventuroso entrò in lui.
Era eccitato e spaventato allo stesso tempo. Curioso,cominciò ad avvicinarsi
pian piano. Prese una delle due torce posizionate ai lati della grande porta di
pietra. Ed eccolo là. Subito la porta si chiuse di scatto. Abasi,questo era il
suo nome,cominciò a picchiare forte sulla parete. Era in trappola. La paura e
la curiosità crescevano in lui. Proseguì ansioso,con il cuore in gola. Il
battito gli risuonava nelle orecchie in modo atroce. Sudava, ma non era il
fuoco della torcia a fargli caldo. Gli si presentarono davanti tre diverse
porte. “Ed ora dove vado?”pensava impaurito. Scelse la seconda e dunque
vi entrò. Sulle pareti rocciose vide ancora disegni di occhi,occhi ovunque. Non
riusciva a capirne il motivo. Sentì delle urla,dei lamenti. Rabbrividì. Divenne
bianco come un cadavere. Non capiva da quale parte provenissero le grida.
Ricominciò a correre,questa volta più veloce di prima,più veloce di quando lo
stavano rincorrendo le guardie. Si girò per vedere se qualcuno lo stesse seguendo
da dietro,ma niente affatto. Appena si voltò,si ritrovò davanti a sé un enorme
occhio rosso fuoco. Lo stesso occhio della porta e delle pareti della caverna.
Ad un tratto,cominciarono a farsi avanti nella penombra due mani bendate. Le bende
erano nere e rinsecchite. Abasi credeva di morire per paura. Emise un grido
potentissimo e si mise a correre verso l’uscita,respirando affannosamente. Non ricordava
che la porta fosse bloccata,non aveva più via di scampo. Non poteva uscire.
Rimase fermo a guardare con occhi velati di lacrime quell’enorme masso e gli venne in mente la
foresta,quella fitta foresta che vi era dopo quella maledettissima porta. Era
troppo tardi. Sentì le mani gelide della creatura,afferrargli con forza le
spalle possenti. Abasi,da quel giorno,scomparve nelle tenebre.Un uomo stava ritto sulla riva, appoggiato al fusto d'una giovane palma. Ammirava quello spettacolo in silenzio,salutò l’amico fiume,il sole che quella sera sembrava un disco incandescente,finché non s’udirono alcune voci che ruppero la tranquillità. Pareva fossero delle guardie,se lo vedevano,sicuramente l’avrebbero ucciso all’istante. Doveva scappare. Andarsene. Prendere tutto il necessario per vivere e non tornare mai più in quelle terre. Una lacrima gli rigò il viso di carnagione scura.
Ma brava la chicca!;)
RispondiEliminaGraziee :))
EliminaAttenta: forte come il vento, bianco come un cadavere, sono similitudini, non metafore!
RispondiElimina:)