martedì 7 maggio 2013

Un antico paesaggio.

Mi misi in bocca la quantità di pane che bastava per tre minuti di masticazione, poi ritrassi le mie facoltà di percezione sensoriale e mi ritirai nell'intimità della mia mente, mentre i miei occhi e il mio viso assumevano un'espressione vuota e preoccupata. Nei miei occhi, forse, si poteva intravedere la paura, semplice, pura, folle.

La tranquilla paura che ti fa tremare le gambe, ti afferra lo stomaco e cresce sempre di più. Misi sul tavolo quello che avevo per pagare il conto e, con i miseri soldi che mi restavano, potei permettermi di lasciare anche una piccola mancia. Afferrai velocemente il cappello e uscii. 
L'aria era piuttosto fredda, e ad ogni contatto con il mio viso assumevo un'espressione di sofferenza, come se mille chiodi penetrassero nella mia pelle. Davanti a me, in lontananza, si potevano scorgere due colline rigogliose di vegetazione. Le piante avevano appena riacquistato le foglie e i primi fiori cominciavano a spuntare qua e là. Nel cielo, azzurro e limpido come non mai, facevano capolino nuvole bianche che potevano essere associate alle figure più bizzarre, dalla classica pecorella all'insolito cervo. A ridosso delle colline, un gruppo di contadini si stava rimboccando le maniche per portare a casa qualcosa dal lavoro nei campi. 
La donna portava una lunga gonna blu, stretta in vita, che le scendeva fino alle caviglie. Una camicia bianca le metteva in evidenza curve prosperose, mentre una fascia color verde oliva le stringeva i fianchi. Ai piedi portava un paio di sandali logori e, in testa, un telo bianco che le permetteva di ripararsi dal Sole. 
L'uomo, apparentemente più anziano della donna, portava un paio di pantaloni marroni stretti alle caviglie e una camicia, anch'essa bianca, sbottonata sul petto. Ai piedi calzava un paio di scarpe marroni molto sporche e usate, lo si vedeva. In testa indossava un cappello di paglia a tesa larga. Accanto a costoro altre due donne stavano aiutando gli anziani contadini con il loro lavoro. Una di loro, in particolare, indossava una maglia rossa con le maniche corte a sbuffo e una gonna color porpora. Era inginocchiata e stava scavando nella terra; la foga con cui lo faceva mi riportava alla mente il modo in cui era solita farlo mia madre. Era stata una gran donna: aveva lavorato con impegno e devozione, aiutando mio padre col lavoro nei campi. Aveva occhi di ghiaccio, ma un cuore grande, capace di amare tutti a modo proprio. Ripensai a lei finché non sentii le campane. 
Era ormai passata l'ora di pranzo, e decisi di tornare nella mia umile dimora. Stanco e senza più forze, mi sdraiai sul letto. La stanza era piuttosto spoglia e poco accogliente. Al centro era acceso un piccolo fuoco, giusto per scaldare l'ambiente; accanto era posto un piccolo sgabello di legno alto poco più di cinque spanne e una pentola di rame vuota. Accanto al mio letto, sul lato sinistro, si trovavano due grosse candele e una panca lunga almeno un metro e mezzo. Di fronte ad essa, sul pavimento in pietra, era posta una botola in legno che conduceva ad una specie di ripostiglio, dove conservavo vivande varie. Sul lato destro della mia abitazione, invece, faceva bella mostra una finestra spaziosa, chiusa da tende marroni sgualcite dal tempo e un tavolo di legno sul quale vi erano appoggiati tre vasi per contenere oli e profumi vari. 
Forse sarà stato per il fuoco acceso, o forse per la finestra chiusa, ma quell'atmosfera pacata suscitava in me un effetto sedativo; e sarei anche riuscito ad addormentarmi, se non fosse stato per Elizabeth. 
Entrò in casa mia senza nemmeno bussare, affaticata e piuttosto intimorita, e l'unica cosa che mi disse fu:- Sono tornati.- Nei suoi occhi si leggeva il terrore. 
Se Hugo e i suoi uomini erano davvero nel nostro villaggio significava che erano più forti e con un maggior numero di armi. 
Stavolta non avrebbero risparmiato nessuno. 

1 commento:

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.