martedì 14 maggio 2013

La famiglia: un dono prezioso

Era una notte buia e tempestosa;

la pioggia cadeva torrenziale – salvo occasionali intervalli in cui era trattenuta da violente raffiche di vento che soffiavano nelle vie della città;
La temperatura era scesa di colpo e le poche persone che stavano passeggiando, fecero dietro-front e tornarono subito nelle loro calde case. Ora nelle strade c’erano solo alcuni cani randagi e piccoli topi di fogna; erano animali che, nel nostro paesino, si riproducevano con grande facilità. Erano dappertutto e uscivano soprattutto la sera, quando ormai non c’era nessuno. Non erano cattivi né facevano grossi danni alla città, ma portavano numerose malattie. Eccetto tutto questo stavo bene: ero affacciato alla finestra del mio soggiorno e alle mie spalle c’era la solita situazione familiare: mia moglie stava mettendo i piatti e le posate nella lavastoviglie; mia figlia maggiore, Anita, era fuori in discoteca con i suoi amici; Lucia di sei anni si stava divertendo con le bambole nella sua camera e il piccolo Francesco stava già dormendo nella culla. Per tutto il giorno ero stato al cantiere ultimando i lavori che mancavano affinché la casa non fosse perfetta; io e i miei colleghi ci stavamo lavorando da più di due anni e finalmente il lavoro era quasi concluso. Come ogni sera, dopo il lavoro, tornavo a casa stremato e privo di forze; mangiavo e mi mettevo a guardare fuori dalla finestra: sembra un gesto banale, ma lo facevo per rilassarmi. Fino a vent’anni fa, non avrei mai pensato di avere una famiglia: ero il bullo della scuola ed ero un po’ il leader del mio gruppo; mi facevo rispettare e facevo spesso “rissa” con i “primini”. Non per vantarmi, ma nessun professore mi ha mai beccato: ero una volpe. Infondo, però ero un bravo ragazzo; dopo la perdita dei miei genitori, cambiai radicalmente; mi misi a studiare e qualche anno dopo conobbi Maria, mia moglie. Lei m’insegnò che cos’era la vita con la V maiuscola e insieme cominciammo una nuova vita.

Quella sera ero particolarmente stanco, così diedi un ultimo sguardo alla mia città: in strada c’era una limpida nebbia che copriva la luce dei lampioni ancora accesi. Salutai mia moglie e mi ritirai nella mia stanza.

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