martedì 21 maggio 2013

Pedine o caso irrisolto?

Il lieve rumore assordante del treno riempiva le orecchie di Giovanni, l'archeologo della facoltà di Firenze, che si stava trasferendo a Cremona per condurre delle ricerche su alcune pedine da gioco.

Nello stesso momento di ventidue secoli orsono, il rumore dell'aria che fischiava riempiva le orecchie di Attilio mentre correva.
Attilio era ragazzo che viveva nella Cremona antica, un giovane a cui piaceva molto giocare d'azzardo con le sue adorate pedine; molto spesso riusciva a ingannare gli stolti che tentavano la sorte e a portare a casa qualche soldo. Soprattutto alla sua famiglia, una semplice famiglia  di contadini.

Quando Giovanni arrivò a Cremona, sentì un certo silenzio, o comunque un piccolo frastuono rispetto a Firenze. Si recò al museo archeologico di San Lorenzo; qui gli vennero date le chiavi della stanza dove poteva lavorare su queste famigerate pedine: se voi le aveste viste le avreste considerate semplicemente dei sassolini, ma per Giovanni erano molto di più. Le mise sopra il tavolo, una di fianco all'altra, in fila, poi si sedette e stette a contemplarle.

In quel momento  Attilio stava correndo, correndo per i campi perchè degli uomini lo stavano inseguendo. A volte, succedeva anche, che il trucco con le pedine di Attilio fosse scoperto, e così, lui doveva darsela a gambe. In quel momento l'aria gli fischiava nelle orecchie e le pedine erano strette nella sua mano. Quando riuscì a raggiungere un albero, ci si arrampicò e stette ad aspettare che i due uomini andassero lontano e non lo potessero più vedere. Qui, purtroppo, si addormentò.

Anche Giovanni si era addormentato, ma quando si risvegliò le pedine erano ancora lì. Le prese in mano, ci giochicchiò e poi le osservò da più vicino, da più vicino, da più vicino, fino a quando si accorse che c'era una piccola impronta, ma proprio microscopica; tentò di analizzarla, ma, tra le tante analisi riuscì soltanto a capire che erano appartenute ad un ragazzo più o meno nel I sec. a. C. e che era stato ucciso, o meglio, assassinato, date alcune macchie di sangue, il cui DNA era lo stesso della minuscola impronta. Ormai a Giovanni poco interessavano le pedine, bensì la morte misteriosa del ragazzo.

Quando Attilio si svegliò, era ormai tardi e tutto era avvolto dalle tenebre; gettò un ramo per vedere se sotto l'albero era stata posta qualche trappola, ma non c'era niente, scese e si guardò un attimo intorno e corse a casa. Ma quando vide in lontananza la sua misera abitazione i due uomini con cui aveva giocato quel pomeriggio gli si pararono di fronte armati di una spranga, l'avevano tenuto d'occhio tutto il giorno fin quando non si era svegliato. Lui li supplicò, gli restituì pure i soldi, ma loro non ne vollero sapere e così cominciarono a picchiarlo a sangue: le pedine si sporcarono sia di sangue che delle impronte degli assassini, che le preso su come ricompensa.

Dopo ore e ore di osservazione, Giovanni notò le impronte degli assassini e, strano ma vero, delle microscopiche tracce di ruggine, proprio quelle della spranga. Analizzò tutto e dopo molte ore di analisi riuscì a ricostruire la storia del povero Attilio. Quando alzò la testa dalle pedine per guardare che ore fossero sull'orologio della piccola stanzina, vide che ormai erano le 4 di notte passate e di treni per tornare alla sua Firenze ormai non ce ne erano più. Così lasciò tutto il resoconto delle analisi sulla scrivania, rimise nella scatola le pedine, chiuse la stanza e con la sua valigia, non ancora disfatta, se ne andò in giro per quella magnifica piccola città che è Cremona; scattò molte foto anche se era notte e, verso le 6 di mattina andò in stazione, prese il primo treno diretto e se ne tornò alla monotonia dell'università, ma pur sempre soddisfatto di aver risolto il caso, appunto, irrisolto di quel giovane ragazzo.

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