Anno 603. La vicenda si sviluppa durante il mese di agosto, verso i primi giorni per la precisione.
La temperatura era piuttosto calda, ma non particolarmente afosa. Lungo le strade di Cremona molti artigiani e contadini terminarono le loro spese lungo bancarelle che proponevano infinite varietà di oggetti e vivande. Il vecchio Gaius si affrettò a terminare il suo ultimo impiego; la sua stanza restava per lui il miglior studio e il miglior luogo nel quale ritirarsi per cimentarsi nella pulizia di oggetti antichi. Gaius andava fiero del suo lavoro, mandato avanti dal suo trisavolo, dal nonno e anche dal padre. Era quasi sera e il Sole cominciò la sua lenta discesa verso l’orizzonte quando il nostro uomo diede l’ultima levigata al tavolo di legno davanti a lui. Con le poche forze rimaste scostò l’oggetto fino alla fine della stanza, in modo che occupasse il minor spazio possibile. Stremato e ormai senza più forze, si accasciò su una sedia. L’ambiente esterno era un concerto di rumori: le urla dei bambini che si dirigevano verso le rispettive abitazioni, il verso di polli e galline che beccavano il terreno alla ricerca di cibo, il rumore degli zoccoli dei cavalli sulla terra. Paradossalmente la dimora di Gaius era inondata da straziante silenzio. Si guardò attorno malinconico; fu allora che l’occhio gli cadde sul vecchio sgabello del nonno Lucius. Si alzò e si avvicinò cauto. Lo prese con entrambe le mani e lo posizionò sul tavolo. Non ricordava l’ultima volta che l’aveva usato; a dir la verità non ricordava di averlo mai usato veramente. Era piuttosto piccolo e basso e l’appoggio non era particolarmente ampio. Era stato costruito in bronzo da mani esperte, doveva avere più di cento anni, lo si capiva. Lateralmente si potevano contraddistinguere due diverse ornature. La prima, più alta e attaccata all’appoggio, era decorata da un motivo simmetrico: al centro un cerchio diviso da diversi raggi e ai lati una figura paragonabile ad un quadrato circondato da quattro foglie. La seconda ornatura, più bassa della prima di almeno due o tre dita, era contornata da un motivo uguale e continuo raffigurante un cerchio tagliato da una riga orizzontale al centro. Gaius non aveva mai amato particolarmente quel genere di arredo, l’aveva sempre trovato piuttosto grezzo e superficiale, per questo l’aveva sempre tenuto isolato. Quello sgabello, in fondo, rappresentava un po’ le sue origini, il suo passato, come la storia del lavoro tramandato per generazioni. Sentiva in quell’oggetto come un potere che gli penetrava la pelle, come se fosse un “pezzetto” di lui. Lo ammirò ancora, per quanto affascinante, misterioso e provocatorio, egli non riusciva ancora a farselo piacere. Espirò un respiro profondo e poi riposizionò lo sgabello nel suo posto originario. Con un sorrisino si sedette sopra al letto, come intenzionato a prendere sonno, ma non ci riuscì, poiché afflitto da mille preoccupazioni inutili. Una strana sensazione aveva colpito la sua mente.
Gaius ancora non sapeva che proprio due giorni dopo, sempre nell’agosto del 603, i Longobardi, guidati da Agilufo, avrebbero distrutto Cremona.
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