La ragione per cui mi sono messo al lavoro,la capirete man mano che andrete avanti a leggere. Siete sicuri di voler continuare? Io se fossi in voi non lo farei. Siete proprio coraggiosi. Bene,si comincia. Quella,era una giornata d’estate. Torrida come non mai. La poca aria in circolazione,era solo un vento che non ti rinfrescava affatto. Ero seduto,fuori da casa,sopra a dei tiepidi scalini di pietra.
Ero rilassato,in totale riposo. Amavo come non mai l’estate,ma accadde un fatto che me la fece soltanto disprezzare. Stanco di starmene all’ombra,decisi di sgranchire un poco le gambe e cominciai a camminare molto lentamente. Stavano rifacendo un pezzo di strada,mi spostai. Mi stavo avviando verso il centro di Cremona,quel giorno,era il giorno del mercato del pesce. Gente da ogni dove veniva a fare spese. Ero una persona piuttosto solitaria,chiusa in un mondo tutto mio,ma mi rallegrava passare fra la folla e sentire pezzi qua e là di discorsi casuali. Cominciai,quindi,a gironzolare per i banchi vari. Guardavo,toccavo,annusavo quei pesci in perfetta calma. Mentre stavo contemplando un bel branzino appena pescato,scorsi fra una piccola fessura fra l’immensa folla,un certo tizio che mi fissava avidamente. Non sapevo né chi fosse,né cosa volesse da me. Lo giuro. Ma aveva qualcosa di terribilmente inquietante quello sguardo. Non sembravano occhi umani, erano occhi che mai avevo visto prima. Degli occhi dallo sguardo pietrificante. Mi spostai da una bancarella all’altra,per riuscire a vedere meglio quell’essere. Ed ecco che lo vidi,ritto in piedi,la pelle pareva marcia,come distrutta dalla forte luce del sole; Il corpo avvolto da un saio beige malridotto. Non era umana quella cosa e m’intimoriva parecchio. Ci fissammo per almeno cinque secondi,intensamente. Senza mai distogliere lo sguardo,senza mai sbattere ciglio. Lui teneva la testa piegata, come se il suo collo non riuscisse a sorreggerla. Era disgustoso. Smisi di fissarlo. Appena rialzai il capo,non lo rividi più. O stavo andando di matto,o il sole mi faceva bollire il cervello. M’incamminai verso casa,pensavo e ripensavo a quell’essere ripugnante. Non ero mai stato così nervoso in vita mia. Arrivai alla porta di casa ed entrai. Mi levai i sandali marrone chiaro di cuoio. Ero distrutto,spiazzato. Fuori era ancora chiaro,le piccole finestre facevano filtrare una luce fioca. All’improvviso notai una cosa che mi fece sbiancare in volto. Trovai una scritta fatta con il sangue,sulla parete. “ IRA BREVIS FUROR” . Sentii la porta dietro di me chiudersi di scatto. Quando mi voltai mi vidi di fronte quel mostro,ancora più temibile di qualche minuto prima. Indietreggiai,sebbene con il cuore in gola. Piccole gocce di sudore mi scendevano dalla fronte. Le mani mi cominciarono a tremare in modo atroce. Mi scaraventai contro la porta,tentando di allontanarmi il più possibile dalle grinfie della bestia. Mi precipitai verso il centro della città. Inciampai. Rimasi bloccato per un istante. Finii con il piede scalzo nella strada appena asfaltata,ancora fresca. Disperato,cercai con tutta la mia forza di liberarmi. Egli mi ammirava da lontano,con quello sguardo agghiacciante,con la testa leggermente piegata. Riuscì a staccare quel maledetto piede e a correre. Pensavo solo a correre. “
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