martedì 21 maggio 2013

La cesta

Un accecante raggio di sole penetrava dalle grate della finestra del seminterrato dove alloggiavo. Mi girai dall'altra parte della mia branda, aprii leggermente gli occhi infastiditi dalla luce per guardare il mio compagno di stanza. Stava ancora dormendo. Richiusi gli occhi cercando di riaddormentarmi, ma in quel preciso istante suonò la campana “del risveglio”. Malvolentieri, mi alzai, lentamente, mi stropicciai gli occhi appannati e mi stiracchiai un po' la schiena indolenzita. Sarebbe iniziata un'altra giornata di faticoso lavoro nella reggia del padrone. Svegliai il mio compagno che come ogni mattina non aveva sentito la campana. Mi misi i miei miseri vestiti e mi lavai un poco la faccia con l'acqua che gocciolava dall'angolo della finestra. La guardia ci aprì la porta. Io e il mio compagno, uscimmo dal seminterrato e andammo a svolgere i nostri soliti incarichi mattutini: servire il padrone, accudire i suoi animali, pulire le sue stanze e tanto altro. Come ogni mattina, quindi, niente di diverso o insolito. Il padrone faceva colazione nella sua stanza da letto e io ero l'incaricato al servizio. Gli portavo sempre una cesta di frutta fresca e del pane. Mi piaceva riempire le ceste di cibo, perché avevo la possibilità di rubare un frutto o un pezzo di pane, nascondendoli poi sotto la mia branda. Forse mi ero addirittura affezionato a quelle ceste di legno. A volte succedeva che una di queste si rompesse, ed io le aggiustavo. Rattoppavo i buchi o gli strappi utilizzando dei bastoncini di legno ricoperti di una particolare cera, per rafforzarli. Nessuno sapeva la “ricetta” della mia cera, e non ero intenzionato a dirlo a nessuno. Dopo aver servito il padrone e pulito la stalla e i cavalli, tornai nella mia stanza. Era quasi il tramonto e di lì a poco mi avrebbero portato la cena. Approfittai dell'assenza del mio compagno per mangiare il bottino che avevo trafugato. Poco dopo arrivò il mio compagno, seguito da una guardia, che ci portò la cena, nelle ceste: un po' di pane, patate e acqua. Trangugiai il mio pasto e riposi la mia cesta e quella del mio compagno fuori dalla porta, dopodiché la guardia chiuse a chiave. Così mi tolsi i miei pochi stracci e mi sdraiai sulla branda. Mi addormentai quasi subito per la stanchezza. Il giorno dopo, la solita storia. Campana, alzarsi, vestirsi, servire il padrone ecc..ecc.. Quella notte però, mi svegliai improvvisamente. C'era uno strano odore nell'aria. Odore di fumo. Guardai dallo spioncino della porta e vidi fumo e fiamme davanti alle altre stanze del seminterrato. Cominciai a urlare, chiedendo aiuto. Il mio compagno si svegliò sorpreso, e ancora un po' intontito si mise a urlare con me. Fortunatamente una guardia ci sentì, scese le scale del seminterrato e il più velocemente possibile aprì la porta e ci aiutò a fuggire. Eravamo delle saette. Uscimmo dalla reggia in pochi secondi e la vedemmo bruciare completamente. Insieme a noi c'erano altre guardie e altri servi come me. Ma non eravamo al completo. Il padrone e altri servi non erano riusciti a fuggire, e ormai non c'era più nessuna possibilità di salvarli. Iniziò a piovere a fiumi e ci rifugiammo dentro la stalla che non aveva subito alcun danno, se non qualche bruciacchiata qua e là. Guardammo le fiamme che a poco a poco si spegnevano con la pioggia battente. Quando rimasero solo poche braci accese e cessò di piovere era quasi l'alba. Mi avvicinai alla reggia, e cominciai a camminare sulle macerie. Spostai qualche piccola trave di legno con i piedi e scorsi un oggetto che mi sembrava famigliare. Lo presi in mano, soffiai via la cenere e i detriti e mi resi conto che era una delle mie ceste. La cera l'aveva protetta, ma non molto. Era rimasto solo un piccolo pezzo della cesta, ed era un po' bruciato e sporco. Stetti lì in mezzo alle macerie, con il pezzo di cesta in mano chiedendomi: “che cosa ne sarà di me ora? Come troverò un altro posto dove stare?”. E mi resi conto che, anche se quella casa era stata la mia prigione per anni, non sarebbe stata peggiore della morte che avrebbe potuto sorprendermi quella notte.

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