martedì 7 maggio 2013

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Mi misi in bocca la quantità di pane e qualche erba che bastava per tre minuti di masticazione, poi ritrassi le mie facoltà di percezione sensoriale e mi ritirai nell'intimità della mia mente, mentre i miei occhi e il mio viso assumevano un'espressione vuota e preoccupata.

Ripetei quest’azione svariate volte, per tutta la mattinata, insomma.
E i miei simili, anche loro, un boccone dopo l’altro, e... via!
Tutto nello stomaco!
Eravamo tutti a bighellonare sul prato sotto il sole, stranamente cocente per la stagione.
A volte si alzava quella tipica calda brezza caratteristica d’aprile, che rendeva la giornata un poco meno afosa. E il caldo di quel terzo giovedì del mese era il primo fatto strano di quel giorno, ma ce n’era un secondo.
L’atmosfera si faceva pesante, tra la folla sul prato.
Non c’era solo l’aria pesante e afosa ma i cuori degli individui erano orologi, di cui la lancetta dei secondi scandiva il tempo.
Credo abbiate presente quell’ansia e quel nervosismo... simile forse a quello di quando volete sapere il voto di una verifica. Insomma, non volete riavere i compiti ma in fondo in fondo la curiosità vi assale e volete conoscere il verdetto, anche se è andato male.
Ecco, a noi è successo più o meno lo stesso.
Inspiegabilmente eravamo tutti agitati, chissà perché! Nessuno lo sapeva tra noi eccetto Bruno. Bruno era il tuttofare della fattoria, preparava il nostro cibo, faceva con noi lunghe passeggiate e sieste nei campi. Bruno era un ultra cinquantenne, senza famiglia. Probabilmente un po’ triste, ma aveva noi, tantissimi amici.
Forse non capite perché io stia parlando di lui. Ebbene, quella mattina Bruno piangeva. Piangeva! E noi lo udimmo, per la prima volta in tutta la nostra vita, lo udimmo.
Forse era per questo motivo che eravamo tanto cupi, quella mattina.
Quando Bruno si avvicinò a noi, noi facemmo finta di niente. Continuammo a mangiare e lasciare che il vento muovesse le nostre campane da creare un suono dolce, una sorta di melodia strana...
Il signore si avvicinò a noi accogliendoci con un simpatico sorriso, superfluo però, perché sapevamo della sua tristezza e le sue e con le guance erano rigate di pianto. Ci indicò di andare verso la strada, dove ci aspettavano una decina di macchine.
Salimmo.
Potevamo solo immaginare che quella fosse l’ultima volta in cui potevamo guardare, di sfuggita, la fattoria, perché i veicoli erano diretti ad un posto chiamato ‘‘macelleria’’.
E intanto la poltiglia nello stomaco risaliva, e io continuavo a masticare, fino a quando arrivati allo stabilimento, chiusi gli occhi per sempre. E Bruno mi stava ugualmente accanto.

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