mercoledì 22 maggio 2013

La bellezza di quell'anfora

Ero uno dei tanti. Uno dei tanti schiavi che si occupavano di portare da una nave, all’altra, le anfore. Avevo solo quattordici anni e già dovevo caricarmi sulla schiena un enorme peso.

Non ero nemmeno tanto robusto di fisico, quindi lo sforzo era doppio.
Un giorno mi diedero l’incarico di trasportare un’anfora, che proveniva dall’Africa e doveva arrivare in Italia: precisamente a Cremona. Quando la vidi me ne innamorai perdutamente. Era piccolina, con due anse sottili, fantastiche, che conteneva olio. Quando la vidi, la tenni al sicuro perché non si fecero crepe, durante il viaggio.
Facemmo circa sei mesi di viaggio. Ogni giorno la curai, la feci vedere ai miei compagni e mi ci affezionai. Ero abbastanza bravo nella pittura, così mi misi a disegnare qualcosa con il nero. Feci dei motivi floreali. La resi più personale.
Passai con lei quasi tutti i giorni; le diedi un’occhiata sempre perché non volevo si rovinasse.
Quando però arrivammo in Italia, è stato bruttissimo. Adoravo quell’anfora e mi dispiaceva lasciarla. Volli vedere il suo padrone. Vennero a prenderla. Era uno sfacciato. Arrivò e disse “Voglio quella, con quei fiori orrendi”. Mi crollò tutto addosso. Dopo una notte intera di decorazioni, ci rimasi malissimo. La presero e la gettarono sul carro. Da quel momento non la vidi più.
Notai solo una cosa nel andare via, una crepa. Dopo mesi e mesi di cure, arrivò questo tizio che la prese e la gettò via così.

Prof. la foto non riesco a metterla!

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