martedì 14 maggio 2013

L'incidente

Era una notte buia e tempestosa;
la pioggia cadeva torrenziale - salvo occasionali intervalli in cui era trattenuta da violente raffiche di vento che schiacciavano gli alberi al suolo, sradicandone alcuni e portandoli lontano nella campagna.  Stavo badando ai miei due nipotini, dei quali quello più grande stava suonando Chopin, forse il suo compositore preferito, allietando un po' quella serata tempestosa.
Il gatto si era rifugiato sotto il letto, spaventato dai tuoni cupi che seguivano lampi che squarciavano il cielo. Non nascondo che ero molto spaventata, non avevo mai visto una tempesta così forte. La pioggia era fittissima, non si vedeva nulla, e la nebbia si faceva sempre più fitta. Il vento era un lupo tanto ululava e la sua intensità aumentava di minuto in minuto. Mio figlio non era ancora a casa. Era tardi. Troppo tardi. Temevo che non sarebbe più tornato ormai. Magari si era solo fermato a chiacchierare con alcuni suoi colleghi aspettando che la tempesta si calmasse. No, non poteva essere -è molto taciturno e introverso, non gli piace conversare a lungo-doveva esserci un altro motivo. A un certo punto il mio cellulare squillò. Il suono stridulo del telefono mi fece sobbalzare. Il numero di telefono non era salvato nella rubrica. Chi poteva essere a quell'ora della notte? Risposi preoccupata. Dall'altra parte del telefono potevo percepire la voce di mio figlio. Mi disse che era appena partito ma che l'avrebbe presa con calma per via del cattivo tempo. Rassicurata lo salutai e andai a letto abbastanza tranquilla. Ore 8:05. La tempesta si era placata e ora un sole terreo spuntava dall'orizzonte. Mi alzai per vedere se mio figlio e sua moglie erano  già in piedi o dormivano ancora. Mi diressi vero la loro camera. La porta era aperta, il letto in ordine. Corsi fuori a cercare la macchina. Non c'era. In salotto tutto era come l'avevo lasciato la sera prima. Forse mio figlio non aveva mai varcato quella maledetta porta. Forse si era fermato in un hotel. Lo chiamai al cellulare. Nessuno rispose. Chiamai ancora. E ancora. Finalmente rispose, ma non lui. L'uomo dall'altra parte del telefono mi disse che la sera prima, nel tornare a casa, avevano avuto un brutto incidente. La macchina era distrutta e i coniugi erano rimasti bloccati sotto il peso dell'auto. Li aveva trovati un uomo. Aveva chiamato subito i soccorsi, ma ormai era tardi. L'anima di mio figlio era già stata portata in  cielo la notte stessa dal vento, e, dopo qualche ora, anche quella della moglie, portata dalla leggera brezza primaverile, l'aveva raggiunto in paradiso. 

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