giovedì 30 maggio 2013

LA SECONDA VOLTA NON SI SCORDA MAI


SCRITTO DA CAMILLA A.

Al sol pensiero stavo male. Questa volta l'avrei ucciso sul serio.
Era giovedì 30 maggio, il prof Di Felice aveva organizzato una corsa sul Torrazzo
. Che poi mi chiedo: perché proprio giovedì e non venerdì quando abbiamo lezione con lui, così dopo la fatica di oggi avremmo dovuto subire altre due ore di lavoro il giorno dopo. Meglio non pensarci.
Quella mattina, alle nove in punto, la mia classe, la IB linguistico, si trovava davanti alla torre pronta ad affrontare questa impresa impossibile. Ero già stanca ancora prima di partire. Dovevamo stare a coppie, perché secondo il prof bisogna parlare mentre si corre; io ero insieme a Lucrezia. Lei è una ragazza fantastica, è la persona con cui ho legato di più quest' anno, mi racconta tutto e mi aiuta sempre quando ho un problema: è davvero meravigliosa.
Quando entrai nella torre ci rimasi male, non era come me l'ero immaginata. Davanti a me, al centro della stanza circolare, c'era una stretta scala a chiocciola che sembrava non avere fine, le mura intorno sembravano volermi schiacciare da un momento all'altro.
Iniziammo a salire; il battito del mio cuore accelerava a vista d'occhio: paura, paura che la scala non reggesse, paura di scivolare e farmi male, paura di non tornare a casa intera.
Avevo il fiatone, le gambe tremavano, sia per la fatica che per le vertigini, la milza iniziava a pulsare. Volevo fermarmi.
Ripensai a ciò che mi dice sempre Michel: -Tu sei più forte del dolore!-, così andai avanti ripetendomi quella frase finché non arrivai tremante in cima. Guardai il panorama: era una cosa indescrivibile. Il cielo era azzurro, ma c'erano alcune nuvole dello stesso colore degli occhi della mia compagna, un grigio strano; potevo vedere tutta la città dall'alto, era affascinante, ma anche inquietante: la paura di cadere era sempre viva dentro di me.
Ritornammo giù, la fatica fortunatamente era minore. Arrivammo finalmente a terra, non ho mai amato così tanto il pavimento sotto i miei piedi.
Peccato che quel momento durò poco, una voce ruppe la gioia di quell'istante: "Prof, non trovo più il mio cellulare, deve essermi caduto, era nella tasca della felpa, ma adesso non c'è più!" disse Alex. Di Felice, con sguardo serio, rispose: "Bene, adesso torniamo tutti su a cercarlo, ringraziate Pittari!"
No, non era possibile, questa me l'avrebbe pagata cara!
Rifacemmo tutto il Calvario: 1004 scalini (salita e discesa), ma del cellulare neanche l'ombra. Stanchi e doloranti, tornammo a scuola e, dopo altre due rampe di scale, entrammo in classe. Il cellulare di Pittari era sul banco in bella vista. Odio, era tutto ciò che provavo. Noi avevamo percorso per la seconda volta quella maledetta torre per niente. Questa volta l'avrei ucciso, fosse l'ultima cosa che avessi dovuto fare.

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