martedì 21 maggio 2013

Segni nella storia.

“Phoebus, vecchio mio, perché continui a guaire? C’è qualcosa che ti turba?” Aurelio si apprestò a inginocchiarsi davanti al suo fedele amico a quattro zampe per regalargli una carezza che, si supponeva, potesse calmarlo.
Il padrone arruffò affettuosamente lo scuro pelo del cane, guardandolo dritto negli occhi. Sembrava che qualcosa infastidisse il suo anziano compare canino, tanto da portarlo a guaire e abbaiare ininterrottamente da ore, ormai.

Aurelio decise di sfruttare la situazione per prendere una boccata d’aria e sgranchirsi, passeggiando per le vie di Cremona, affiancato da Phoebus. Correva l’anno 69 d.C., a Cremona si poteva percepire come un sentore di pericolo imminente, ma nessuno capiva quando la situazione avrebbe iniziato a peggiorare.
Aurelio, sorretto da un sottile, ma robusto bastone da passeggio d’ebano, procedeva in tutta tranquillità verso il municipium della città. Phoebus avanzava lento, rizzando in continuazione le orecchie. Cercando di non lasciare solo il padrone, ogni qual volta si trovasse troppo indietro rispetto all’uomo che per anni lo aveva accudito, scattava per ritornare al suo posto legittimo, al fianco di Aurelio. 

Improvvisamente, Phoebus si bloccò in mezzo alla strada iniziando a latrare senza sosta, con il minuto muso rivolto verso il cielo. Aurelio si premurò di ritornare sui suoi passi per raggiungere il cane e spingerlo a smettere di creare frastuono nel bel mezzo della città. Nonostante cercasse di ammonirlo con sguardo serio, niente poteva far smettere Phoebus di abbaiare con tanta forza. 


Improvvisamente Phoebus si bloccò in mezzo alla strada iniziando a latrare senza sosta, con il minuto muso rivolto verso il cielo. Aurelio si premurò di ritornare sui suoi passi per raggiungere il cane e spingerlo a smettere di creare frastuono nel bel mezzo della città. Nonostante cercasse di ammonirlo con sguardo serio, niente poteva far smettere Phoebus di abbaiare con tanta forza.
Aurelio conosceva Phoebus da anni ormai, sapeva come fare per calmarlo; bastava esercitare una leggera pressione in un punto sotto l’orecchio sinistro, di modo che si calmasse in pochi secondi. 
I lamenti dell’animale cessarono in un momento. Aurelio s’incamminò verso casa, pensando che forse il riposo, avrebbe potuto calmare del tutto il suo peloso amico a quattro zampe.
 Sulla via del ritorno, Phoebus scodinzolava felice, credendo di aver tolto il padrone da eventuali pericoli, allontanandolo dal centro della città. Aurelio affiancò una strada in costruzione, controllando attentamente che il suo cane non piombasse nel mezzo di una strada non completa.

“Attento Phoebus, non vorrai lasciare tue tracce da qui, fino all’eternità, vero?” esclamò il padrone con un mezzo sorriso, osservando lo sguardo felice del suo fedele compagno canino. . Nessuno gli aveva mai fatto tanta compagnia come Phoebus, che giorno e notte proteggeva la sua casa, gli faceva compagnia al lavoro e nelle passeggiate.
Phoebus, infatti, avrebbe fatto di tutto per proteggere il suo padrone dal male, per salvare quell’uomo che l’aveva allevato con affetto, nonostante alcune bastonate ricevute, quando ancora era cucciolo. 
“Cosa farei io senza di te, mio vecchio amico” sussurrò Aurelio inginocchiandosi davanti Phoebus e iniziando ad accarezzarlo sorridente. Accucciandosi, il cane, poggiò per sbaglio una zampa su quella strada ancora “fresca”, lasciando così la sua impronta nel bel mezzo di Cremona.
Non appena Aurelio si rialzò, notò l'impronta che era stata marcata nella strada da Phoebus. Non poté fare che farsi scappare un sorriso. 
“Ci tieni proprio ad essere ricordato eh? Su, andiamo, presto farà buio, e di questi tempi non è bene girare per Cremona di notte". Aurelio richiamò al suo fianco il cane, affrettandosi a ritornare a casa. Il suo fedele amico, con uno scatto, percorse l'intera strada, aspettando poi, l'arrivo del padrone, che non poté evitare di guardarsi indietro, rivolgendo lo sguardo a quel tratto di strada, ormai segnato. 

A loro differenza, qualcosa non aveva alcuna fretta. L'eternità, infatti, non sarebbe mai stata abbastanza lunga...per un'impronta. 





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