venerdì 1 novembre 2013

Un bosco. Vivo di notte, morto di giorno.

Un cavaliere. Correva più del vento.
Sfrecciava .  Sul suo cavallo bianco. Si sentiva il re del mondo. Sì, si sentiva il re del mondo, aveva in mano la sua vita, non si era mai sentito più libero di ora. Correva e sfrecciava più del vento durante una bufera; sulla spiaggia deserta, al chiaro di luna, padrone in quell'istante anche del più piccolo granello di sabbia; le onde impazzivano, erano gigantesche. In quell'istante il cavallo si fermò, si impennò, rampante; in quell'istante le onde divennero gigantesche, si infransero sugli scogli: un tripudio di potenza e di maestosità.
La luce della luna rendeva la scena di una regalità impressionante, di una bellezza paurosa. 
Nella notte sfrecciava, sul suo cavallo bianco un cavaliere; un cavaliere con un mantello di un rosso porpora accecante e il cappello perfettamente sistemato sulla testa.
Se ne era andato; aveva deciso di prendere la sua vita a due mani e renderla sua; non voleva più che suo padre, il re, lo manovrasse, lo manipolasse come una perfetta marionetta. Quella notte il cavaliere era fuggito con il suo fedele destriero, un magnifico cavallo bianco di razza pura, purissima.
Fuggiva, non sapeva dove stesse andando, non conosceva direzione, una precisa destinazione. Convinto che sarebbe andato dove lo avrebbe portato il fato; era fuggito. Era inconsapevole, però, di ciò  che gli sarebbe accaduto.
Era entrato nel bosco, un bosco inquietante a dir poco, tetro, costellato di rumori raccapriccianti, cupi. Il cavallo aveva rallentato, il cavallo aveva capito, percepito. Il cavaliere non aveva timore di nulla, ancora troppo eccitato, pervaso dalla adrenalina in corpo; era fiero e cavalcava a testa alta, orgoglioso. 
Rumori. Rumori tra gli arbusti, tra i cespugli; qualcosa si muoveva nell'oscurità. Il cavallo scalpitava, se ne voleva andare, tornare nelle stalla da dove era partito.
Rumori. Rumori tra gli alberi, dietro i tronchi; qualcuno si muoveva nell'oscurità e voleva fare del male al cavaliere. Ormai l'aveva capito anche lui, quell'uomo senza macchia e senza paura ora era terrorizzato: l'orgoglio, la fierezza e la sicurezza che c'erano in lui erano magicamente scomparse, sparite d'un tratto. Voleva andarsene da lì, voleva scappare in un posto sicuro. Cavallo e cavaliere erano in preda al panico, non sapevano cosa fare. Rimasero immobili, come pietrificati da qualche arcana stregoneria. Una bestia comparve in un istante.
Se ne andò via con i denti, la bocca, gli artigli intrisi, impregnati di sangue; corse via, come era arrivato era anche fuggito, nell'oscurità.
Più nulla. Più nessuno. Niente e nessuno si muoveva. Qualsiasi forma di vita era scomparsa, solo le piante, il vento tra le loro foglie.

Correva, più del vento correva su di un cavallo il re. Era partito per una battuta di caccia. Era sicuro, fiero e non più curante della sorte che aveva avuto suo figlio.
Nel bosco penetrava il sole, ora. Un cadavere era steso per terra, tutt'intorno sporco di sangue, il volto era irriconoscibile e il corpo deformato. Il volto era sì irriconoscibile, ma non per il re, che conosceva quel viso da sempre.

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