“ti
dedico
la
mia vendetta
e
un buco di proiettile”
-Baustelle,
Revolver
La puntina del giradischi,
dopo aver raccolto tutti i più piccoli e invisibili granelli di polvere
posatisi col tempo sul nero vinile da 33 giri, scivolò per tutta la base, raggiungendone il
centro. Il braccio metallico scattò con un rumore sordo, ritornando al punto di
partenza, immobile, pronto per essere nuovamente posato sul disco.
Gli occhi quasi assenti di
Tate, fintamente rivolti al giradischi, potevano sembrare, a chiunque gli fosse
passato davanti ed avesse sprecato qualche minuto del suo tempo a guardarlo
dritto negli occhi, completamente neri.
Scuri
pozzi senza inizio né fine.
I grandi e tristi occhi scuri, in perenne contrasto
con la riccia e voluminosa chioma biondo cenere, erano ormai colmi di
lacrime.
Da giorni, seduto scomposto
su di una scricchiolante sedia di legno, Tate non faceva altro che piangere;
piangere e cercare di sorridere tra sé e sé.
Non era mai stato in grado
di sorridere in una situazione che non lo richiedeva, ma in quei giorni,
rivolto verso il grande specchio a muro, accompagnato dai cigolii perenni della
sedia e dall’unica canzone che all’infinito suonava in quel vecchio giradischi
polveroso, il ragazzo aveva più volte mostrato al suo riflesso sorrisi artefatti,
cercando di trovare in sé stesso, una piccola luce a cui appigliarsi per poter
andare avanti…Senza però riuscirci.
Nel silenzio più totale,
Tate si alzò, si asciugò le lacrime nella manica del maglione di lana scura a
righe rosse e nere e afferrò il calcio di quella piccola Revolver calibro 38 che teneva in
bella mostra vicino al giradischi.
Si posizionò davanti allo
specchio, rigido.
L’immagine di un ragazzo
magro, forse fin troppo, alto e disperato
gli apparve.
Con un inspiegabile
scatto, gridò di dolore e, con tutta la forza che aveva in corpo, lanciò la
pistola contro lo specchio mandandolo in frantumi.
Ora non c’era più riflessa
l’immagine di un giovane con un futuro davanti, con la possibilità di crearsi
una famiglia, di ottenere un lavoro, di essere felice.
Ora c’erano solo, riflessi
in quell’ammasso di schegge, pezzi di un ragazzo distrutto.
Esattamente come Tate si
sentiva dentro.
In
pezzi, frantumato, danneggiato, irreparabilmente triste.
Lentamente, senza versare
più lacrime si chinò a terra per raccogliere la pistola.
Se la portò vicino alla
tempia, le nocche ormai bianche che
stringevano convulsamente il calcio, un sorriso quasi sadico sul viso.
Silenzio, un colpo, un
botto, uno sparo.
Microscopiche macchie di
sangue sparse sul muro, un tempo marrone.
Un
rivolo di sangue rosso vivo
scendeva dalla tempia di Tate, e sul suo viso, solo un sorriso.
(Ispirato
al personaggio di Tate Langdon).
bello
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