domenica 17 novembre 2013

Revolver


“ti dedico
la mia vendetta
e un buco di proiettile”
-Baustelle, Revolver

La puntina del giradischi, dopo aver raccolto tutti i più piccoli e invisibili granelli di polvere posatisi col tempo sul nero vinile da 33 giri,  scivolò per tutta la base, raggiungendone il centro. Il braccio metallico scattò con un rumore sordo, ritornando al punto di partenza, immobile, pronto per essere nuovamente posato sul disco.

Gli occhi quasi assenti di Tate, fintamente rivolti al giradischi, potevano sembrare, a chiunque gli fosse passato davanti ed avesse sprecato qualche minuto del suo tempo a guardarlo dritto negli occhi, completamente neri.
Scuri pozzi senza inizio né fine.
I grandi e tristi occhi scuri, in perenne contrasto con la riccia e voluminosa chioma biondo cenere, erano ormai colmi di lacrime.
Da giorni, seduto scomposto su di una scricchiolante sedia di legno, Tate non faceva altro che piangere; piangere e cercare di sorridere tra sé e sé.
Non era mai stato in grado di sorridere in una situazione che non lo richiedeva, ma in quei giorni, rivolto verso il grande specchio a muro, accompagnato dai cigolii perenni della sedia e dall’unica canzone che all’infinito suonava in quel vecchio giradischi polveroso, il ragazzo  aveva più volte  mostrato al suo riflesso sorrisi artefatti, cercando di trovare in sé stesso, una piccola luce a cui appigliarsi per poter andare avanti…Senza però riuscirci.

Nel silenzio più totale, Tate si alzò, si asciugò le lacrime nella manica del maglione di lana scura a righe rosse e nere e afferrò il calcio di quella piccola Revolver calibro 38 che teneva in bella mostra vicino al giradischi.
Si posizionò davanti allo specchio, rigido.
L’immagine di un ragazzo magro, forse fin troppo, alto e disperato gli apparve.
Con un inspiegabile scatto, gridò di dolore e, con tutta la forza che aveva in corpo, lanciò la pistola contro lo specchio mandandolo in frantumi.

Ora non c’era più riflessa l’immagine di un giovane con un futuro davanti, con la possibilità di crearsi una famiglia, di ottenere un lavoro, di essere felice.

Ora c’erano solo, riflessi in quell’ammasso di schegge, pezzi di un ragazzo distrutto.
Esattamente come Tate si sentiva dentro.
In pezzi, frantumato, danneggiato, irreparabilmente triste.

Lentamente, senza versare più lacrime si chinò a terra per raccogliere la pistola.
Se la portò vicino alla tempia, le nocche ormai bianche che stringevano convulsamente il calcio, un sorriso quasi sadico sul viso.
Silenzio, un colpo, un botto, uno sparo.

Microscopiche macchie di sangue sparse sul muro, un tempo marrone.
Un rivolo di sangue rosso vivo scendeva dalla tempia di Tate, e sul suo viso, solo un sorriso.




(Ispirato al personaggio di Tate Langdon). 

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