scritto da Alessia Rossi
8 settimane.
8 orribili settimane.
Piene di dolore, angoscia, freddo, fame, sete, terrore, sopportazione.
8 settimane che non augurerei neanche al mio peggior nemico; no, forse a uno si: Lui.
Vorrei che Lui sopportasse tutto quello che ho dovuto passare io e che probabilmente passerò ancora per diverso tempo: interi giorni a non mangiare, bere e fissare sempre e solo quelle quattro mura. Quelle dannatissime mura spoglie piene di ragnatele , crepe e insetti schifosi.
Ero sola. Nessuno era qui accanto a me a sussurrarmi parole di conforto, ad abbracciarmi o semplicemente starmi vicino. Le uniche cose che mi circondavano erano un materasso vecchio, bucato e sporco che usavo come letto e un "catino" che usavo per i miei bisogni. Tutto qui. Né un armadio con alcuni vestiti, né un tavolo, né una sedia, nemmeno un bagno decoroso. Proprio niente.
Ma non era sempre stato cosí. Si, Mi ricordo bene quando accompagnavo i miei fratellini al parco. Giocavamo insieme. Eravamo felici. Mamma mia quanto mi mancano. Quando tornavo a casa da scuola, che mi mettevo a fare i compiti per poi uscire con le mie amiche. Quanto mi mancano. Non l'avrei mai detto, ma mi manca anche la scuola; lo so che é strano da sentire, ma é la verità. Quell'ansia prima di un compito in classe, prima della restituzione della verifica o per un'interrogazione. No, queste cose non le sento piú. E mi mancano. Mi ricordo come fosse ieri quando lui mi ha strappato via tutto: la mia famiglia, i miei fratelli, le mie amiche, i miei compagni di scuola. La mia vita.
Stavo andando a scuola per un corso pomeridiano,; quest'anno avrei avuto gli esami di maturità, cosí avevo deciso di partecipare a diversi corsi per ottenere più crediti. Mi misi le cuffie e feci partire la prima canzone della playlist , quando ad un tratto sentii una mano premere sulla mia bocca. Rimasi paralizzata. Cercai di girarmi per vedere chi mi stava fermando ma lui oppose resistenza. Mi tolse gli auricolari e avvicinò la bocca al mio orecchio: "Non provare ad urlare o sarà peggio per te. Forza , seguimi". Terrorizzata da quella voce cosí cupa e spaventosa, mi girai e cominciai a seguirlo. Si girò verso di me e mi disse: "Ok, vedo che hai capito. Cosí mi piaci. Ora dobbiamo arrivare fino al porto. Non voglio domande. Stai al passo." Io feci si con la testa e continuai a seguirlo. Era abbastanza alto e portava un cappellino nero con la visiera. Mi sembrava un ragazzo di trent'anni. Un bel ragazzo di trent'anni. Mi aveva trascinata fino al porto e costretta a salire su una macchina grigia. Al volante c'era un altro uomo, che udito lo sbattere della portiera, mise in moto il veicolo. L'ultima cosa del mondo esterno che ricordo é proprio l'immagine del porto, un forte dolore alla testa poi più niente.
La mia vita cominciò ad essere un inferno. Ero rinchiusa 24 ore su 24, 7 giorni su 7 in quella specie di cantina. Non sapevo dove mi avevano portata, né il perché avessero rapito proprio me, né quando e se mi avrebbero riportata a casa. Sarebbe stata una lunga attesa, me lo sentivo. Solo alcune volte lui scendeva e mi portava da mangiare. Appena arrivava con un piatto, mi fiondavo su di esso e mangiavo qualsiasi cosa contenesse. Però non capivo il perché mi desse da mangiare solo alcune volte. Poteva benissimo lasciarmi lí a morire di fame. Forse gli servivo viva. Ma per cosa? Tutte le mie domande erano senza risposta. Non avevo nessun contatto con il mondo esterno tranne che per una piccola finestrella. Solo grazie a lei riuscivo a capire se era giorno o notte. Continuavo a fissare il muro davanti a me. Incidevo con un piccolo sassolino quante settimane avevo passato in quell'inferno.
8 settimane.
8 orribili settimane.
si> sì
RispondiEliminache mi mettevo> e mi mettevo
discreto