domenica 17 novembre 2013

Lui

scritto da Alessia Rossi

8 settimane.
8 orribili  settimane.
Piene  di dolore,  angoscia,  freddo, fame, sete, terrore, sopportazione.

8 settimane che non augurerei  neanche al mio peggior  nemico; no, forse a uno si: Lui.
Vorrei che Lui sopportasse tutto quello che ho dovuto passare io e che probabilmente passerò ancora per diverso tempo: interi giorni  a non mangiare, bere e fissare sempre e solo quelle  quattro mura. Quelle  dannatissime mura spoglie piene di ragnatele , crepe e insetti schifosi.
Ero sola. Nessuno era qui accanto a me a sussurrarmi parole di conforto, ad abbracciarmi  o semplicemente starmi vicino. Le uniche cose che mi circondavano  erano un materasso vecchio, bucato e sporco che usavo come letto e un "catino" che usavo per i miei bisogni. Tutto qui. Né un armadio con alcuni vestiti, né un tavolo, né una sedia, nemmeno un bagno decoroso. Proprio  niente.
Ma non era sempre stato cosí. Si, Mi ricordo bene quando accompagnavo i miei fratellini al parco. Giocavamo insieme. Eravamo felici.  Mamma mia quanto mi mancano. Quando tornavo a casa da scuola,  che mi mettevo a fare i compiti per poi uscire con le mie amiche. Quanto mi mancano. Non l'avrei  mai detto, ma mi manca anche la scuola; lo so che é strano da sentire, ma é la verità. Quell'ansia  prima di un compito in classe,  prima della restituzione della verifica o per un'interrogazione.  No, queste cose non le sento piú. E mi mancano. Mi ricordo  come fosse ieri quando lui mi ha strappato via tutto: la mia famiglia, i miei fratelli, le mie amiche, i miei compagni di scuola. La mia vita.
Stavo andando  a scuola  per un corso pomeridiano,; quest'anno avrei avuto gli esami di maturità, cosí avevo deciso di partecipare a diversi corsi per ottenere più  crediti. Mi misi le cuffie e feci partire la prima canzone della playlist , quando ad un tratto sentii una mano premere sulla mia bocca. Rimasi paralizzata.  Cercai di girarmi per vedere chi mi stava fermando ma lui oppose resistenza. Mi tolse gli auricolari  e avvicinò la bocca al mio orecchio:  "Non provare  ad urlare  o sarà peggio per te. Forza , seguimi". Terrorizzata  da quella voce cosí cupa e spaventosa, mi girai  e cominciai a seguirlo. Si girò verso di me e mi disse: "Ok, vedo che hai capito. Cosí mi piaci. Ora dobbiamo  arrivare  fino al porto. Non voglio  domande. Stai al passo."  Io feci si con la testa e continuai a seguirlo. Era abbastanza alto e portava un cappellino  nero con la visiera.  Mi sembrava un ragazzo di trent'anni. Un bel ragazzo di trent'anni. Mi aveva trascinata fino al porto e costretta a salire su una macchina grigia.  Al volante c'era un altro uomo, che udito lo sbattere della portiera, mise in moto il veicolo.  L'ultima cosa del mondo esterno che ricordo  é proprio  l'immagine  del porto, un forte dolore alla testa poi più niente.
La mia vita cominciò ad essere un inferno. Ero rinchiusa 24 ore su 24, 7 giorni  su 7 in quella specie di cantina. Non sapevo dove mi avevano portata, né il perché avessero rapito proprio me, né quando e se mi avrebbero riportata  a casa. Sarebbe stata una lunga attesa, me lo sentivo. Solo  alcune volte lui scendeva e mi portava da mangiare. Appena arrivava  con un piatto, mi fiondavo su di esso e mangiavo qualsiasi  cosa  contenesse. Però non capivo il perché mi desse da mangiare  solo alcune volte. Poteva benissimo lasciarmi  lí a morire di fame. Forse gli servivo viva. Ma per cosa? Tutte le mie domande erano senza risposta. Non avevo nessun contatto con il mondo esterno tranne che per una piccola finestrella. Solo  grazie a lei riuscivo a capire se era giorno o notte. Continuavo a fissare il muro davanti a me. Incidevo con un piccolo sassolino quante settimane avevo passato in quell'inferno.
8 settimane.
8 orribili  settimane.

1 commento:

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.