lunedì 11 novembre 2013

La notte

Ero sdraiato a terra, privo di forze. Mi rialzai, a fatica: avevo la fronte sudata, ero tutto sudato. Un liquido caldo mi scendeva dalla tempia: lo toccai con la mano e la portai alla bocca: era sangue.
Di preciso non ricordavo quello che era successo quella notte, soltanto delle memorie offuscate: l'aria fredda, gelida, la notte più scura che mai copriva qualsiasi cosa, sugli angoli della strada qualche prostituta in cerca di clienti e la luce di qualche lampione che rendeva tutta la situazione un po' più visibile e nitida; aveva appena smesso di piovere, per terra ancora tutto bagnato ed io che correvo, rincorso di alcuni ragazzi, mi volevano picchiare, lo fecero: e poi più niente, il buio.
Mi chiamo Drake, sono un ragazzo nero, uno di quelli un po' scapestrati, tipici ragazzi che vivono nel Bronx, senza una famiglia alle spalle, o magari con solo la mamma che alleva e protegge i figli fino ad un'età di 13/14 anni, da qui in poi questi vengono a contatto con la violenza, le risse, le gang e, un po' più tardi, con la droga e compagnia; ma anche con la povertà e tutto ciò che comporta il fatto di doversi guadagnare il pane e vivere alla giornata.  Tornai a casa con qualcosa di più che dei semplici acciacchi o botte; quando entrai da quella porta la scena che si presento ai miei occhi era per me normalissima: mia madre sdraiata sulla poltrona, ubriaca con in mano una bottiglia di rum vuota, mi urlava contro per esser tornato a casa tardi e per aver fatto a botte, ma nello stesso tempo mi implorava di andarle a prendere dell'altro alcol con la scusa di dover alleviare i dolori che le procuravo; i miei fratellini che, seduti sul materasso con qualche coperta, giocavano tranquilli aspettando il mio ritorno; quando mi videro, mi corsero incontro e mi saltarono in braccio, uno di loro mise il ditino in una ferita e lo guardò con aria interrogativa, l'altro chiedeva solo un abbraccio: non ne avevano avuti per molto di abbracci quei bambini. Nel preciso momento in cui si alzarono in piedi i miei fratelli, vidi, sempre sul materasso, un altro bimbo che dormiva con un sacco di iuta come coperta, tutto rattoppato con macchie di ogni genere: il bimbo era tanto tenero, di carnagione mulatta con tutti i capelli ricciolini e neri. Non sapevo cosa ci facesse in casa mia, certo era che il gattino che era raggomitolato in fianco a lui era un suo compare. Lasciai il bimbetto dormire, misi a terra i miei fratellini che si addormentarono dopo che ebbi rimboccato loro le coperte e dato il bacio della buona notte, e presi in mano, talmente era piccolo, il gattino: cercava di arrampicarsi ovunque sul mio corpo, poi mi leccò la ferita sulla fronte: mi bruciò e, come d'istinto, lo lasciai cadere a terra, fortunatamente non si fece nulla.
Andai a rinfrescarmi la faccia con dell'acqua fresca: nel silenzio della notte si sentivano solo tre rumori distinti: lo scrosciare dell'acqua, i miei passi e quelli del gatto che mi seguiva ovunque per casa.
Pensavo. A tutto ciò che stava succedendo: ormai non andavo più a scuola, non avevo amici, risse sempre più frequenti, io che rientravo sempre più tardi la sera a casa per scampare a quella situazione famigliare raccapricciante che mi toccava, con la droga non parliamone, mia madre assente e i miei fratelli abbandonati a loro stessi... I pensieri si accavallavano l'uno sull'altro...
BUM! BUM! 
All'improvviso due spari, stavo pensando così forte da levarmi la corrente in casa: l'acqua andò via, il gatto non lo vidi più intorno a me, sullo specchio apparve una sagoma, indefinita, paurosa, quasi come un demone; corsi a vedere se i miei fratelli stavano bene e il bimbo non  c'era più: la porta di casa sbatteva mossa dal vento, mia mamma addormentata sulla poltrona con il braccio con in mano la bottiglia di rum, pendeva dal bracciolo: tutto dormiva nel Bronx, tranne me, il mio cuore, il mio spavento. Immobile me ne stavo davanti alla porta inanimata: inquietudine.

4 commenti:

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.