Uno
spiraglio di luce penetrò nella stanza di Dario, attraversò la piccola finestra dai vetri colorati
lasciando che il calore di un tiepido sole invernale la riscaldasse.
Il
ragazzo aprì gli occhi lentamente, realizzando che un’altra giornata, ormai da tempo uguale a tutte le
altre, gli si prospettava davanti.
Dario, dal giorno in cui per
uno sfortunato caso si era ritrovato a cadere malamente da una roccia durante
una scalata, era semi-immobile, costretto a vivere su di una sedia a rotelle
forse, come i medici avevano sentenziato, per il resto dei suoi giorni.
Dario amava tre cose più di
tutto: i libri, le passeggiate quotidiane in compagnia del fratello e il silenzio della sua stanza. Il fratello si
era preso cura di lui fin dal giorno dell’incidente; lo aiutava nei compiti, a
lavarsi e cambiarsi, ad alzarsi dal
letto rimboccandogli persino le coperte la sera.
Dario leggeva e scriveva molto.
A volte rimaneva sveglio tutta la notte immaginandosi di viaggiare in Paesi lontani.
Fu proprio in una di quelle notti che iniziò il suo racconto più bello. Il
fratello che era il suo più grande ammiratore e allo stesso tempo il suo più
severo critico fu il primo a leggerlo rimanendone felicemente stupito.
L’idea gli balenò dopo che
venne eretta, proprio nel bel mezzo del
parco che i due fratelli erano soliti frequentare, una imponente quanto misteriosa scultura. A dire il vero
Dario e Matteo non furono gli unici a chiedersi cosa fosse o meglio cosa
significasse e perché quell’enorme costruzione si trovasse proprio nella loro città.
L’ostilità nei confronti di
quello che la maggior parte delle persone
considerava un ammasso informe di cemento, era contenuta nei cuori di tutti.
Ma
non in quello di Dario. La
struttura era ormai entrata a far parte
della sua ruotine e gli piaceva osservarla per qualche minuto dalla propria
finestra, che spiccava in mezzo al verde del parco in estate e che si uniformava d’inverno, quando la neve
si posava lenta su di essa imbiancandola
tutta.
Così
un giorno, in compagnia del fratello si
recò al parco, si fece spingere fin davanti a quello che gli era sempre
sembrato un grande occhio aperto su chissà quali mondi lontani. Si fermò,
iniziando quindi il suo viaggio fantastico.
Immaginò
che fosse sufficiente attraversare nel mezzo la scultura, per ritrovarsi dall’altra
parte in un mondo parallelo, dove non era più intrappolato in un corpo che non
gli consentiva una vita “normale”. Avrebbe potuto fare di nuovo tutto ciò che,
in realtà, gli era impedito, come scalare di nuovo le sue amate montagne.
Quanto
gli sarebbe piaciuto poter vivere in quel mondo, e lasciarsi per sempre alle
spalle tutti i limiti che il suo sfortunato incidente gli aveva suo malgrado
imposto. Farsi conoscere dalle persone per ciò che era realmente e non per
quella persona timorosa e malinconica in cui, invece, si era "trasformato", a causa di
quella sventurata circostanza. Dario avrebbe potuto ricominciare da capo, costruirsi una nuova
vita: forse, anche incontrare, finalmente, una ragazza che sapesse amarlo.
Poi
però, il ragazzo si ricordò del fratello
alle sue spalle, con un'improvvisa sensazione di colpevolezza.
Matteo
che gli era stato accanto, che lo faceva ridere e che lo portava sempre con sé
ovunque andasse: non era stato forse un autentico atto di crudeltà quello di riuscire
ad immaginarsi, anche solo per un secondo,
proiettato in un mondo lontano, senza di lui?
Dario
sorrise, tornando alla realtà.
In
fin dei conti, non avrebbe scambiato suo fratello per nulla al mondo.
Neppure
per un paio di gambe nuove.
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