Mi sento sempre attratto dai posti dove sono vissuto, le case e i loro dintorni. Chissà, forse ormai tra me e quei luoghi vi è come un sottilissimo filo invisibile che ci lega. Per questo motivo quasi ogni due mesi mi reco nel mio vecchio paesino, quasi per abitudine che per necessità. L'ultima mia visita risale all'ottobre scorso, quindi la nuova data si avvicina sempre di più. Siamo a dicembre, ed essendoci stata una forte nevicata tre giorni fa, decido di anticiparla a domani.
Il vento è sempre piu freddo e colpisce la faccia come mille aghi a grande velocità. Per la prima volta quest'anno opto per un cappellino di lana, di quelli classici, un po' da film, con i lacci a lato che terminano che delle palline morbide. Mi infilo velocemente una giacca pesante e indosso gli stivali da neve. Poi mi decido, e apro la porta di casa. Nonostante il mio abbigliamento, lo sbalzo di temperatura da dentro a fuori mi provoca un'insopportabile pelle d'oca. Salgo in macchina e parto, con "One in a million" dei Guns 'n Roses alla radio. Le strade sono deserte. A causa del maltempo arrivo con trenta minuti di ritardo. Parcheggio l'automobile al solito posto e mi dirigo a piedi verso la mia vecchia abitazione. La neve scricchiola sotto i miei piedi, che sembrano sprofondare in quel manto candido. Dal fondo della strada, un inebriante odore di pane appena sfornato mi ricorda che non ho ancora fatto colazione.
Giunto davanti all'uscio della mia casa, lo apro con lentezza. Poi raccolgo un sasso gelato da terra. Mentre entro, il cigolio della porta mi fa accapponare la pelle (come ogni volta). Riprendo la pietra appena presa e la lancio contro uno dei muri di mattone. Il forte rumore spaventerà ogni eventuale animale recatosi dentro casa. Successivamente, un passo dopo l'altro, comincio a camminare verso il mio passato. Alla mia sinistra vi è la libreria. È la mia parte preferita. A dir la verità lo è sempre stata, anche quando ero piccolo. Un imponente mobile si erge di fronte a me, colmo di libri. I miei libri. Ne prendo uno in mano e faccio scorrere le pagine a grande velocità. Le mie narici sono metaforicamente assalite da un forte odore di vecchio. Il bordo della carta è freddo al tatto e, essendosi bagnato con l'umidità, non è più liscio, ma leggermente ondulato. Rimetto giù il libro, facendo attenzione a non rovinarlo, esattamente nel punto in cui l'avevo trovato.
La stanza successiva è la mia vecchia camera da letto. Salgo le scale scricchiolanti, facendo attenzione a non rompere il legno ormai fragile. La mia è l'ultima in fondo, a sinistra. Tutto è esattamente come l'ho lasciato l'ultima volta. Le tende rosse, sgualcite dal tempo, proiettano nella stanza una luce opaca. Il letto con le lenzuola ancora rifatte, è stato testimone dei miei innumerevoli salti acrobatici. Quando ero piccolo quello era il mio trampolino personale. In un angolo c'è anche il mio piccolo orsacchiotto, a cui ormai manca un orecchio. La cucina, il salotto, la sala da pranzo, sono così simili, così familiari. Mi sembra di sentire ancora il vecchio Diuk, il nostro cagnolone, abbaiare e correre per il corridoio. Ogni angolo di questa casa è stato luogo di episodi importanti nella vita della mia famiglia. Lì è dove Tommy, il piccolo di casa, ha fatto il suo primo passo, e lì è dove ha detto la sua prima parolina, e lì è dove io e mio fratello più grande ci siamo picchiati per avere l'ultimo biscotto. Ogni volta che entro nella mia vecchia abitazione una valanga di ricordi affiora nella mia mente. Sono talmente tanti da sovvrapporsi. Non faccio in tempo a pensare a una cosa, che me ne vengono in mente altre dieci. Ma è una sensazione piacevole, una sensazione di gioia. Questa casa mi accompagnato nei periodi più felici e più tristi della mia vita, dalla nascita fino al matrimonio, dall'adozione di Diuk alla morte dei miei genitori.
E così, mentre fuori ricomincia a nevicare e il gelo riavvolge il paese, mi lascio cullare e trasportare dal tepore e dal calore dei miei ricordi.
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