domenica 6 ottobre 2013

Una pace non impossibile

“E’ possibile percorrere un’altra strada, imparare di nuovo a percorrere le vie della pace?”
E’ ciò che Papa Francesco domanda al mondo intero riferendosi alla devastante guerra che ogni giorno lacera i territori  Siriani. Ed è davvero possibile trovare un’altra opzione valida, una alternativa  che non comporti sofferenza , morte e distruzione? Ma la domanda vera è, chi conduce questa guerra è disposto a trovare un’altra strada, o è proprio la guerra che vuole?


Mi è stato chiesto di esprimere i miei dubbi e le mie opinioni sulla Guerra in Siria e per farlo mi sono documentata ascoltando telegiornali e leggendo  giornali on-line.
Durante queste ricerche sono stata particolarmente colpita da quante donne e  bambini siano rimasti coinvolti in questa (a mio parere) insensata e futile guerra.
6.087 bambini hanno perso la vita dal 18 marzo 2011, data d’inizio della guerra civile siriana. Per molte persone  si tratta solo di un semplice numero ma  in realtà queste morti così ingiuste pesano sulle coscienze di tutti noi.
Questi bambini sono costretti ogni giorno a fuggire lontano con le loro madri  per poter sopravvivere, lasciando i padri a combattere anche per la loro libertà. Attraversano frontiere,  camminando per migliaia di kilometri per approdare in un luogo più sicuro.
Molte nazioni non si sono dimostrate pronte ad aiutare  coloro che ogni giorno soffrono e vivono con la paura di addormentarsi senza sapere se potranno risvegliarsi il giorno successivo.

E’ il caso della Svizzera rifiutatasi di accogliere quindici profughi Siriani (tra cui appunto sei bambini), rimasti bloccati alla stazione di Domodossola, senza la possibilità di raggiungere i loro parenti che vivono in centro Europa.
Non c’è vergogna più grande di quella dimostrata da chi nega aiuto a chi si trova in un particolare stato di sofferenza obbligata.  
Penso che sia necessario trovare il modo e la maniera di porre fine a tutto il dolore e la distruzione che ogni guerra inevitabilmente porta sempre con sè.
E’ vero, è difficile a volte se non addirittura impossibile conciliare interessi economici, fedi religiose da secoli distanti tra di loro. Da un lato,  gli USA che da anni si erigono a baluardo della democrazia per una Siria più vicina a loro,  dall’altro la Russia che vuole comunque mantenere il ruolo di grande potenza nel panorama mediorientale.  
Ma non è combattendo o appoggiando i ribelli o il regime, causando così la morte di tanti innocenti che le cose miglioreranno.

Forse la gente semplice come me, così lontana sia geograficamente che per usi e costumi dal popolo siriano poco può fare se non parlarne e tenersi informata nel tentativo di comprendere il perché, anche se non c’è mai un perché in tanta barbarie. Credo che il capire  per progredire  sia un passo fondamentale.
E’ questo che secondo il mio parere dovrebbero fare i grandi, i potenti, coloro che hanno in mano le sorti dell’intera umanità. Non inviare militari e armi ma cercare di capire queste popolazioni, i loro problemi, le loro esigenze, la loro sofferenza.   

Il Presidente Obama che  «per i suoi sforzi straordinari volti a rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli» è già stato insignito nel 2009 del Premio Nobel per la Pace, può fare molto e sono sicura,  lo farà.

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