Londra.
25 novembre 1987. Ore 8.25.
Il
piccolo Axel stava passeggiando per le strade della città con i suoi
genitori, evitando le pozzanghere che si erano formate in seguito ad
una pioggia durata qualche giorno.
Axel
sentiva parlare i due adulti al suo fianco di argomenti per lui
incomprensibili, quindi semplicemente li ignorava. Come i due
ignoravano lui.
Le
scarpe erano ormai inzuppate, data la sua poca maestria con il gioco,
e facevano strani cigolii ad ogni suo passo. Passava davanti ai
negozi, leggendo le insegne e cercando di immaginare se potessero
esserci oggetti strani al loro interno. La maggior parte delle volte,
la risposa era un secco “No”.
Londra
era una città così noiosa, pensava il piccolo. Tutti i giorni erano
uguali, tutti i posti erano uguali, tutte le persone erano uguali.
Nulla di divertente.
Certo,
era un bambino, ma non smetteva di chiedersi cosa la gente trovasse
di tanto bello in quella vita. Lui non vedeva l'ora di potersene
andare.
Intanto
continuava a camminare, circondato da voci e suoni di cui non
riusciva proprio a comprendere il significato, neanche provandoci.
Poi
qualcosa attirò la sua attenzione.
Era
una melodia, di uno strumento che lui, personalmente, non aveva mai
sentito.
“Papà,
papà, cos'è?” chiese all'uomo robusto che lo affiancava,
tirandogli una manica.
“Stai
fermo, Axel” gli rispose lui, brusco, tornando al suo discorso.
Così
il piccolo si alzò sulle punte dei piedi, cercando di scorgere tra
la gente l'origine di quel suono meraviglioso. Finché vide un uomo,
seduto su uno sgabello, con in mano una specie di piccola chitarra,
ma molto più dolce. Aveva quattro corde e la forma di un otto. Il
suonatore la teneva appoggiata al collo, e ci strofinava su qualcosa
che ricordava un bastoncino.
Gli
si avvicinò il più possibile, guardandolo ammaliato mentre intonava
una soave musica e si muoveva tenendo il tempo. Il piccolo era rapito
da ciò che sentiva, ed ebbe la sensazione che tutto attorno a lui
fosse scomparso.
Ad
un tratto si avvicinò un uccellino che, lentamente, andò ad
appoggiarsi sulla spalla dell'uomo. Solo a quel punto egli aprì gli
occhi e guardò Axel, che entrò un in mondo mai visto prima. Entrò
nella vita della persona che aveva davanti.
Vide
un neonato, che veniva abbandonato dalla madre e lasciato in
ospedale, con una valigetta di fianco. Poi ci fu un bambino, sembrava
avere più o meno la sua età, che veniva picchiato da due adulti e
portato all'orfanotrofio, stringendo sempre quella valigetta. Apparve
poi un ragazzo, di probabilmente diciotto anni, che venne spinto
fuori dallo stesso edificio dentro al quale era stato portato il
bambino. Gli lanciarono ancora quell'oggetto. Poi vide questo ragazzo
che cresceva, vagando per le strade di Londra in cerca di un lavoro,
qualcosa per cui vivere, portandosi costantemente dietro
quell'affare. Alex non riusciva a capire cosa fosse. Poi, verso i
venticinque anni, si sedette su uno sgabellino, prese la valigetta,
ne estrasse lo strumento e iniziò a suonare. Diede il via ad una
vita che avrebbe condotto per sempre. Alex vide la gente che gli
passava davanti, senza degnarlo di uno sguardo. I capelli che
diventavano a mano a mano sempre più bianchi. Vide i suoi occhi
spegnersi, giorno dopo giorno. Finché tornò alla realtà.
Vide
l'uomo che era diventato, dopo una vita di sofferenze. Vide il
ritratto della forza. Vide un fuoco che continuava ad ardere,
nonostante tutto il vento che aveva cercato di spegnerlo. E lo
abbracciò. Non si sa per quale motivo, ma lo abbracciò forte, come
a volergli trasmettere tutta l'ammirazione che provava per lui.
Poi
si staccò e lo guardò, sorridendogli, ringraziandolo di avergli
fatto capire il vero valore della vita. L'uomo ricambiò il sorriso,
fece un leggerissimo cenno con il capo, che ricordava un inchino, e
tornò a suonare.
Il
bambino si infilò le mani in tasca, trovando qualche spicciolo, e li
inserì nella custodia dello strumento. Poi si girò e tornò dai
genitori, come se nulla fosse. E invece, quella piccola e
insignificante esperienza, gli aveva aperto il cuore.
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