Darren conosceva Amsterdam come
le sue tasche. Viveva lì da oltre nove anni, ma ogni giorno sembrava il primo.
Spesso girovagava senza una meta
precisa, da solo. La gente lo
riconosceva, lo salutava con un cenno del capo o con un sorriso. Era diventato
il giovane violinista di Vondelpark, quello che suonava nei giorni di mercato e
la domenica mattina, su una panchina.
Appoggiava la custodia del suo violino, un
po’ logora, ai suoi piedi ed iniziava ad accordarlo. Le persone amavano la sua
musica, la interpretava in modo personale, rendendo la melodia struggente, si
incantavano ad ascoltarlo e le monete cadevano copiose.
Lui adorava la musica, quando era
piccolo suonava di nascosto, senza che nessuno potesse sentirlo.
I suoi genitori non erano mai in
casa, spesso lavoravano anche di notte e non si occupavano del figlio. Se la
sapeva cavare, lo aveva sempre fatto. Aveva imparato da solo a suonare il
violino, ascoltando le melodie dei musicisti di strada. Per lui era diventato
naturale, un impulso di cui ignorava l’origine, ma che lo rapiva.
Quel giorno il sole tramontò
presto e, senza che se ne fosse reso conto, la luna aveva illuminato il cielo.
Darren si avviò verso casa, certo di non trovare nessuno. Non cenò nemmeno, ma
salì sul tetto e iniziò a fissare la luna. Iniziò a intonare una canzone triste,
prima piano, senza timore, sempre più forte, come mai aveva fatto prima.
Passò interi minuti suonando,
quasi senza respirare, senza accorgersi di ciò che accadeva intorno a lui.
Non pensava a niente, si sentiva
parte di un mondo a lui sconosciuto.
Chiuse gli occhi, e gli sembrò di
volare sopra le case, sopra ai tetti, che diventavano sempre più piccoli e
lontani.
Mai aveva suonato e interpretato così bene. Così, quando
depose l’archetto e la musica si fermò, per un attimo si sentì felice come mai
era stato.
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