martedì 28 ottobre 2014

Il solitario sopra il mondo

Si chiamava Julius, era un uomo solitario, sempre barricato in casa, quasi non volesse avere contatti col mondo esterno.
Più che col mondo di per sé, non voleva avere a che fare con gli uomini che lo popolavano, o almeno, con quelli della sua città.
Smise di uscire e di vivere molti anni prima, erano passati secoli ormai, dall'ultima volta che anima viva ebbe l’onore di vederlo per strada.
Aveva un senso di forte ripudio nei confronti dell’essere umano, che l’aveva reso così freddo e distaccato. La gente insinuava che avesse compiuto atti macabri e irraccontabili, di cui nessuno era però a conoscenza esattamente.
Abitante da sempre di quel piccolo villaggio, lo odiava. E la gente che di continuo sparlava di lui, a ogni passaggio vicino alla sua casa, era la ragione per la quale si era creato un suo mondo immaginario, all’interno della sua piccola abitazione. Si sentiva, a volte, per alcuni versi, quasi superiore a quella massa di stolti coi quali era costretto a dividere l’aria.
L’idea di uscire con tutti gli altri era uno di quei pensieri che nemmeno lo sfioravano più, dopo tutto quel tempo. Disponeva però, e molto fortunatamente, di un giardinetto, invisibile ai concittadini , posto sul retro di casa.
Tutto il suo tempo, ovviamente sempre libero, era trascorso in questa piccola oasi, la sua unica salvezza. Passava lì intere giornate.
D’estate poteva riposarsi all’ombra di una quercia secolare; la primavera amava immergersi nei profumi che i fiori rilasciavano; durante l’autunno il suo riparo estivo si tingeva di mille colori che lo incantavano; infine, durante la stagione invernale, osservava questo paesaggio apparentemente morto con lo stesso stupore di un bambino, sognando le belle stagioni per poter goderne ancora.
Spesso, agli inizi della primavera , alcuni uccellini si posavano sui rami con qualche accenno di verde del suo grande albero, e cinguettavano allegri, infondendo in Julius un senso di profonda pace. Un giorno , che a dirsi così era  uguale a tutti quelli precedenti, e probabilmente anche futuri, un amico alato cantò una melodia particolare, che gli fece ricordare di anni passati, duranti i quali amava ancora la possibilità di scambi interumani, quelli che erano stati per lui i momenti più felici, quelli di gloria.
L’uomo aveva una passione segreta, o almeno, dimenticata da tutti. Da giovane era un celeberrimo violinista, che viveva per la sua passione, diventata poi lavoro. 
Quella sera non rimase a osservare il tramonto che lo aspettava ogni sera, e che, quasi come un regalo, donava sempre colori diversi in cui potersi perdere, ma entrò rapidamente in casa.
Se ne era quasi scordato, ma un flash gli riportò in memoria il posto in cui lo strumento tanto fedele era riposto,  e con una rapidità di cui li stesso si stupì, lo riporto alla luce.
Si mise a suonare.
Ci riuscì in una maniera talmente fluida che quasi sembrava non avesse mai smesso. Finita la prima aria, si bloccò, e rimase in un a concentrata ammirazione del suo violino.
Uscì di nuovo all’aria aperta, la luce e le tinte erano già scomparse dal cielo, ma nonostante ciò, riprese a suonare, tenendo gli occhi socchiusi, quasi come se potesse sentire più dentro di sé la magica sinfonia. Sopra di lui, lontana, splendeva la luna, e, dentro di sè, nel suo profondo, aveva ripreso a brillare anche il suo cuore.

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