Si chiamava Julius, era un uomo solitario,
sempre barricato in casa, quasi non volesse avere contatti col mondo esterno.
Più che col mondo di per sé, non voleva avere a che fare con gli uomini che lo
popolavano, o almeno, con quelli della sua città.
Smise di uscire e di vivere molti anni
prima, erano passati secoli ormai, dall'ultima volta che anima viva ebbe
l’onore di vederlo per strada.
Aveva un senso di forte ripudio nei
confronti dell’essere umano, che l’aveva reso così freddo e distaccato. La
gente insinuava che avesse compiuto atti macabri e irraccontabili, di cui
nessuno era però a conoscenza esattamente.
Abitante da sempre di quel piccolo
villaggio, lo odiava. E la gente che di continuo sparlava di lui, a ogni
passaggio vicino alla sua casa, era la ragione per la quale si era creato un
suo mondo immaginario, all’interno della sua piccola abitazione. Si sentiva, a
volte, per alcuni versi, quasi superiore a quella massa di stolti coi quali era
costretto a dividere l’aria.
L’idea di uscire con tutti gli altri era
uno di quei pensieri che nemmeno lo sfioravano più, dopo tutto quel tempo.
Disponeva però, e molto fortunatamente, di un giardinetto, invisibile ai
concittadini , posto sul retro di casa.
Tutto il suo tempo, ovviamente sempre
libero, era trascorso in questa piccola oasi, la sua unica salvezza. Passava lì
intere giornate.
D’estate poteva riposarsi all’ombra di una
quercia secolare; la primavera amava immergersi nei profumi che i fiori
rilasciavano; durante l’autunno il suo riparo estivo si tingeva di mille colori
che lo incantavano; infine, durante la stagione invernale, osservava questo
paesaggio apparentemente morto con lo stesso stupore di un bambino, sognando le
belle stagioni per poter goderne ancora.
Spesso, agli inizi della primavera , alcuni
uccellini si posavano sui rami con qualche accenno di verde del suo grande
albero, e cinguettavano allegri, infondendo in Julius un senso di profonda
pace. Un giorno , che a dirsi così era uguale a tutti quelli precedenti, e
probabilmente anche futuri, un amico alato cantò una melodia particolare, che
gli fece ricordare di anni passati, duranti i quali amava ancora la possibilità
di scambi interumani, quelli che erano stati per lui i momenti più felici,
quelli di gloria.
L’uomo aveva una passione segreta, o
almeno, dimenticata da tutti. Da giovane era un celeberrimo violinista, che
viveva per la sua passione, diventata poi lavoro.
Quella sera non rimase a osservare il
tramonto che lo aspettava ogni sera, e che, quasi come un regalo, donava sempre
colori diversi in cui potersi perdere, ma entrò rapidamente in casa.
Se ne era quasi scordato, ma un flash gli
riportò in memoria il posto in cui lo strumento tanto fedele era riposto, e con una rapidità di cui li stesso si stupì,
lo riporto alla luce.
Si mise a suonare.
Ci riuscì in una maniera talmente fluida
che quasi sembrava non avesse mai smesso. Finita la prima aria, si bloccò, e
rimase in un a concentrata ammirazione del suo violino.
Uscì di nuovo all’aria aperta, la luce e le
tinte erano già scomparse dal cielo, ma nonostante ciò, riprese a suonare,
tenendo gli occhi socchiusi, quasi come se potesse sentire più dentro di sé la
magica sinfonia. Sopra di lui, lontana, splendeva la luna, e, dentro di sè,
nel suo profondo, aveva ripreso a brillare anche il suo cuore.
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