mercoledì 3 luglio 2013

Summertime Sadness.

La notte del trenta agosto 2039 un'ondata di caldo eccezionale soffocava gli Stati Uniti. Il termometro a New York segnò quarantadue gradi; a mezzanotte tutte le docce della città emisero un ululato di agonia, e il rantolo delle tubature annunciò che l'erogazione di acqua era sospesa fino alle otto di mattina.
La maggior parte degli americani rimaneva chiusa in casa, seduta davanti ai ventilatori, cercando un po' di sollievo dal caldo infernale. Altri, invece, si rifugiavano nei supermercati, al fresco, altri ancora nei bar e nei negozi. Altri correvano per le strade in cerca di un po' d'ombra. C'era persino chi faceva il bagno nelle fontane, e chi addirittura girava in mutande. La cosa poteva sembrare un po' comica, ma la situazione sulla Terra era ormai insopportabile. L'enorme innalzamento delle temperature stava sciogliendo velocemente i ghiacci dei poli, presto l'intera superficie terrestre sarebbe stata invasa dagli oceani. L'unica cosa da fare era aspettare e fidarsi dello Stato, che avrebbe tentato di risolvere il problema dell'inquinamento prima che fosse troppo tardi. Molti, però, pensavano che la Terra fosse già persa per sempre, finita. Ormai la popolazione non viveva più, nessuno andava al lavoro, a scuola, a fare shopping, a mangiare fuori; le città erano diventate luoghi di monotonia, dove più niente era differente e affascinante. La gente si era lasciata andare a una vita insipida e assente. E alla fine non importava più niente.

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