lunedì 22 luglio 2013

Curiostità


Quando lo vidi per la prima volta, Terry Lennox era ubriaco in una Rolls Royce fuori serie, di fronte alla terrazza del "Dancers", un locale a luci rosse nel centro di New York.
Non era quell’ubriaco che faticava a reggersi in piedi: semplicemente diceva tutto quello che pensava e rideva a più non posso. Mi avvicinai piano piano, gli domandai se avesse bisogno d’aiuto, ma lui niente, non voleva nemmeno che m’avvicinassi. Come al solito, non l’ascoltai. Lo tirai fuori da quella macchina, presi il suo braccio e me lo misi intorno al collo; lo portai nella mia macchina e riuscii a farmi dire dove abitava, cosi che lo riaccompagnai a casa. Tentai di lasciarlo davanti al portone di casa, ma vidi che non era molto affidabile e andammo nel suo appartamento.
La mattina mi svegliai e mi ritrovai su una poltrona con del caffè in mano. “Buongiorno”, disse Terry. Era sobrio, senza quella barba che lo copriva e senza quegli stracci che indossava la notte scorsa.
Quella mattina parlammo un po’. Era un uomo fantastico: acculturato, intelligente, sveglio, determinato… tutte le qualità che si cercano in uomo. Fin quando, ad un certo punto, lui andò in bagno, così io mi guardai intorno: i vasi con le orchidee tenute perfettamente, i piatti di porcellana messi uno sopra l’altro, il profumo al gelsomino che era solito spruzzare ogni mattina. Poi, vidi un cassetto aperto nello scrittoio; lo so, non avrei dovuto farlo, ma la curiosità era troppo forte. Aprii del tutto il cassetto; vidi delle carte, lettere, documenti, fin quando sentii che sotto quelle carte c’era qualcos’altro. Alzai quel rivestimento in legno e vidi delle fotografie: ogni fotografia aveva pinzato un foglio con su la vita di quella persona. La maggior parte di quelle fotografie erano state crocettate in rosso. All’inizio non capii molto, ma poi vidi la cosa che mi fece tremare: in fondo al cassetto, dopo queste fotografie c’era una pistola. Ebbi una paura tremenda. Presi il capotto, misi le scarpe e uscii di corsa.
In dieci minuti riuscii ad arrivare a casa, mi chiusi dentro, chiusi tutte le finestre e le tende, corsi in camera mia e mi misi sul letto a piangere. Una cosa non vi ho detto, una cosa mi sono dimenticata di dirvi: nelle fotografie di quel cassetto ce n’era una sola non crocettata, una sola, la più importante: la mia.

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