sabato 20 luglio 2013

Road Trip

Mi sento sempre attratto dai posti dove sono vissuto, le case e i loro dintorni, forse perché ho abitato in così tanti posti diversi, e per così poco tempo, che non ho mai avuto modo di esplorare i remoti angoli del boschetto dietro casa, gli anfratti della scogliera sulla spiaggia davanti alla veranda, gli sgabuzzini del condomino...
Non ho mai patito la solitudine perché di amici ne trovavo ovunque, ma non ho mai avuto la possibilità di conoscere un posto talmente bene da poterlo chiamare casa.
Ho intrapreso questa lunga peregrinazione attraverso gli angoli più disparati della Francia per cercare di colmare questo vuoto: è già un mese che passo dalla Bretagna alla Costa Azzurra fermandomi per tre giorni in ogni casa, appartamento o baita che mi ha visto bambino; spesso trovo la casa già occupata da nuovi inquilini e quindi mi limito ad esplorare i dintorni.
È lampante come tutte le case siano state scelte da mia madre, si rassomigliano tutte pur essendo diverse: il colore pastello dei muri esterni, il piccolo giardino all'inglese ai lati del vialetto e altri piccoli dettagli.
Sorprendentemente scopro di ricordarmi con lucidità di ogni paesino in cui ho vissuto, a volte mi capita di riconoscere delle persone che spesso, ancor più soprendentemente, si ricordano di me.
Intanto noto cose che avevo trascurato nella mia giovinezza, ad esempio, mi rendo conto che l'albero da cui sono caduto rompendomi il braccio quando stavo in quella cittadina della Borgogna era una magnolia, che l'ammasso di rovi che vedevo dalla mia stanza della Costa Azzurra in realtà era un nido di gabbiani, che il piccolo condominio alla basa dei Pirenei aveva una soffitta di cui non avevo mai sospettato l'esistenza...
La cosa più bizzarra di questo viaggio mi capita in Normandia:  avevo abitato per circa sei mesi quando avevo dieci anni in una casetta dispersa in mezzo ai campi coltivati a cereali; deve essere stata una delle permanenze più lunghe, quella in Normandia.
Fatto sta che la casa è ancora come l'avevamo lasciata io e la mamma, con la porta e le imposte verniciate si un rosso spento e scrostato.
Dentro, però, ci vive un signore sull'ottantina abbondante che dimostra ancora un'agilità insospettabile quando, scorgendomi dalla finestra, viene immediatamente ad aprirmi la porta.
Ancor prima che io possa proferire parola Jaques mi ha già offerto un caffè bollente. Bevo in silenzio stupito dalla straordinaria ospitalità dell'anziano.
Poi lui si presenta e mi chiede cosa mi ha spinto fin lì e così attacco a raccontargli tutta la storia, dall'infanzia passata a saltare da un capo all'altro della Francia ai motivi che mi hanno spinto a intraprendere il mio viaggio.
Se Jaques è sorpreso di aver davanti un così bizzarro individuo non lo dà a vedere, anzi si offre lui stesso di mostrarmi i dintorni della casa dimostrando, per la seconda volta, che nonostante l'età è più sano di un ragazzino.
Mi fermo in Normandia per i soliti tre giorni visto che Jaques è così gentile da ospitarmi in casa sua.
Al momento della mia partenza gli prometto che verrò presto a trovarlo, ma lui mi chiede se può unirsi a me nel viaggio perchè sarebbe la sua ultima occasione di esplorare un piccolo pezzo di mondo.
Accetto volentieri dato che, lo ammetto, girare sempre solo è un po' penoso.
Ogni sera dei due mesi che abbiamo trascorso insieme viaggiando passava un paio d'ore chino a scrivere su un quaderno che non ha mai voluto mostrarmi, nemmeno dopo le mie insistenti suppliche.
Ora Jaques è in un letto d'ospedale con una brutta complicazione cardiovascolare; ieri sono andato a trovarlo e mi ha consegnato il quaderno.
Raccontava le avventure nei campi di cereali di un bambino: di come si divertisse a fare disegni nel frumento schiacciando le spighe dorate, e di come i contadini lo sgridavano anche se ormai rassegnati.
Quel bambino mi ricordava moltissimo me stesso durante il
periodo in Normandia.
Poi ecco, ho capito il messaggio che Jacques ha voluto trasmettermi trascrivendo tutti i suoi ricordi di me bambino: ha voluto farmi capire che il mio viaggio è, di fondo, inutile.
Inutile perché casa non è il posto che meglio conosci al mondo; casa può essere qualunque posto, basta che le persone si ricordino di te con affetto.

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