Mi presento. Sono una quindicenne, ho i capelli lunghi, gli occhi scuri, non sono né troppo alta né troppo bassa per la mia età, studio a Cremona e come tutti gli altri studenti d’ Italia sto incominciando a contare i giorni che mancano alla fine della scuola.
Una scuola cambiata rispetto quella che frequentarono i miei genitori negli anni della loro gioventù; una scuola più volte protagonista di rivoluzioni che hanno spesso comportato anche rilevanti modifiche, una scuola talvolta abbattuta ma che è sempre stata ricostruita seppure con diversi principi.
Attenzione: ricostruita come?
La Pubblica Istruzione del 2010- 2011 può essere riconosciuta come l’ospite d’onore di parecchi programmi politici, solitamente serali, come il titolo in grassetto di molti giornali nazionali e come uno dei primi argomenti annunciati al telegiornale.
Insomma una pubblica istruzione che in questi anni non ha avuto paura di fare le sue scelte nonostante i numerosi scioperi e le frequenti manifestazioni organizzate da studenti e docenti.
Molte sono state le iniziative proposte e messe in atto da quest’organo amministrativo, mentre estremamente ridotte sono state le possibilità di dialogo tra noi comuni mortali (per comuni mortali intendo i diretti interessati delle riforme come ad esempio gli studenti e gli insegnanti) e i rappresentanti quali il ministro Maria Stella Gelmini.
Considerevole è il numero degli studenti della scuola italiana che hanno partecipato alle manifestazioni messe in piedi sia a Roma che nelle piccole cittadine, ma quali di tutte queste sono state veramente utili e seriamente ascoltate? Nessuna! Ciò perché sono state tutte represse con interventi violenti a risposta di atteggiamenti accesi e talvolta scomposti di studenti ed infiltrati.
Sto ricordando fatti di cronaca accaduti pochi mesi fa, in cui il ministro ha attuato (in seguito a delle decisioni,secondo me, poco discusse con gli italiani) delle riforme mirate a modificare gli indirizzi delle scuole superiori e a cancellare alcuni corsi universitari.
Ovviamente ciò ha comportato una riduzione del personale scolastico nonché un taglio netto allo stipendio e soprattutto alla carriera di insegnanti giovani e pure altamente qualificati. Tutte persone che oggi si ritrovano senza un degno impiego che ripaghi il loro sudore sui libri.
Come non detto, l’articolo 3 della costituzione italiana è ancora ignorato. Non solo lo stato italiano non interviene per aiutare coloro che dovrebbero formare e portare avanti il Paese di domani, ma al posto di rimuovere gli ostacoli che limitano il loro rendimento lavorativo è lui stesso ad erigerli dimettendoli dal loro incarico.
All’ inizio del mio articolo ho precisato di essere solo una ragazzina quindicenne e come tale mi rendo conto di essere ancora troppo ingenua ed impreparata per prendere il posto del ministro della Pubblica Istruzione, ma nel mio essere studente mi sento sicura e coraggiosa nel ritenere sbagliato il percorso che sta effettuando l’attuale ministro.
Non aspiro rivestire il suo ruolo , ma se mai dovesse succedere sono certa che presterei più attenzione ai consigli, proteste e disapprovazioni libere e combattute degli studenti piuttosto che quelle vincolate e finalizzate da un voto alle prossime elezioni parlamentari di alcuni politici. Penso che farei di tutto per non creare disaccordi e spaccature tra me e gli scolari della scuola italiana perché non c’è migliore soddisfazione che avere l’appoggio di questa parte; deve essere invece insopportabile e logorante il loro malcontento e la loro rabbia verso il lavoro da me svolto come ministro della pubblica istruzione. Mi impegnerei nel guadagnarmi la fiducia degli insegnanti lottando per capire le loro esigenze ed eviterei di procurarmi il loro disappunto.
È grave, a mio parere, che i componenti di quest’organo non si siano ancora resi conto del forte malcontento e della cattiva reputazione che godono nei giovani. La continua mancanza di dialogo e l’utopistico sforzo di ascolto da parte dei politici stanno diventando due dei pretesti più frequenti della rabbia degli studenti italiani, rabbia che viene poi sfogata nei cortei di manifestazioni e sui muri di scuole e strutture pubbliche attraverso graffiti e simboli.
Alla fine di questa considerazione , come cittadina italiana e come studentessa, mi sento di poter dire: chi la fa l’aspetti; la ribellione a volte non è che lo sfogo di un’ ingiustizia subita.
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