Nella vita di tutti capita prima o poi di aspirare ad un “premio finale” ambito però anche dagli altri.
Persino un’innocente corsa fra bambini diventa una battaglia in cui tutti vogliono arrivare primi. Alcuni bambini pur di vincere partono in anticipo e altri che sgomitano o tagliano la strada agli avversari. Alcuni bambini si attengono alle regole e giocano “pulito”.
C’è un individuo e di conseguenza ci sono gli avversari. C’è una squadra e di conseguenza c’è la squadra avversaria.
L’avversario presuppone un’idea opposta alla propria, un obiettivo, una coppa da alzare, il numero uno.
L’avversario si può disprezzare e sbeffeggiare fino all’estremo, come nel famoso duello fra Achille ed Ettore, che finisce con il corpo esanime di Ettore legato al carro e trascinato dal vincitore Achille lungo il campo di battaglia.
Era proprio necessario infierire così sul vinto?
Oppure l’avversario si può tenere in considerazione e aver stima di lui, riconoscendogli quelle stesse qualità che noi possediamo, lo stesso impegno. In un evento sportivo, a volte mi è capitato di vedere come il vincitore si avvicini al vinto e con una stretta di mano, una pacca sulla spalla, qualche parola di consolazione abbia cercato di mitigare il suo senso di sconfitta o di delusione.
In questo atteggiamento vedo il rispetto per chi per qualche secondo, pochi punti, un attimo di smarrimento, non sia riuscito a ribaltare i ruoli.
Un giorno il vincitore può essere il vinto.
Rupali
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