lunedì 29 dicembre 2014

La vita ad uno, la morte all'altro


Atene era proprio una splendida città. Io, Dedalo, ero cresciuto là e mi ero dedicato per anni alla scultura e all'architettura, raggiungendo risultati che molti invidiavano. Feci da maestro a mio nipote Talo, che però divenne talmente bravo da superare perfino me, così io commisi un imperdonabile errore: uccisi sua sorella. Il giudice mi condannò all'esilio perpetuo, così fuggii e mi rifugiai a Creta, dove fui accolto dal re Minosse, il quale mi chiese di costruire un labirinto per rinchiudervi il Minotauro, ed io lo accontentai. Qualche tempo dopo, sua figlia Arianna mi implorò di aiutare lei e Teseo ad uccidere il Minotauro, così io le suggerii lo stratagemma del filo legato all'ingresso e poi srotolato, per non perdersi all'interno del labirinto. Purtroppo Minosse venne a sapere che ero stato io ad aiutare Teseo ed Arianna e, non potendo punire loro dato che ormai erano fuggiti, rinchiuse me e mio figlio Icaro all'interno del labirinto che io stesso avevo progettato. Capii che l'unica via di fuga era il cielo, così costruii due paia di ali e le attaccai alla mia schiena e a quella di mio figlio con della cera. Raccomandai poi ad Icaro di starmi vicino e di non volare troppo in alto, altrimenti il calore del sole avrebbe sciolto la cera e lui sarebbe precipitato in mare: inutile dire che fu proprio ciò che accadde. La sua ambizione lo portò a voler sfidare gli Dei credendosi più forte di loro, ma ciò che trovò fu solo la morte. Straziato dal dolore, volai fino a Cuma, in Campania, dove costruii un altare dedicato ad Apollo e consegnai nelle sue mani le ali che io stesso avevo costruito e che avevano portato la salvezza a me e la morte a mio figlio.

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