mercoledì 24 dicembre 2014

La troppa felicità

Sono Dedalo, grande scultore. Le mie opere godono di immensa fama, sento complimenti da ogni dove.
Ho ricevuto la capacità in quest'arte dalla dea Atena, e ho perciò deciso di non sprecare una simile opportunità divina, insegnando a mio nipote tutto quando possedevo, ma egli diventò estremamente bravo.
Accadde quel che doveva accadere.
Venni, a mio parere, ingiustamente punito, e il tribunale mi condannò a un esilio perpetuo sull’isola di Creta. Ovviamente, il mio nome era conosciuto anche fuori i confini della Grecia peninsulare, e poco dopo che sbarcai, venni fatto chiamare dal re Minosse, che mi assegnò un arduo compito.
Avrei dovuto realizzare per lui un labirinto, nel quale sarebbe stato poi posto un Minotauro, una creatura formata per metà da un uomo e per l’altra da un toro.  La costruzione doveva essere talmente articolata che nessuno sarebbe mai riuscito a uscire dalla trappola mortale che dovevo progettare. Preparai tutto nei minimi dettagli, e, a opera conclusa, il Labirinto era magnifico.
Un giorno, Arianna, la figlia di Minosse, venne a cercarmi per essere aiutata: doveva riuscire a salvare Teseo, riportandolo fuori dal Labirinto una volta ucciso il mostro. I due riuscirono nell’impresa, ma subito il re venne a conoscenza di questo fatto, e venni rinchiuso insieme a mio figlio Icaro nella mia stessa costruzione.
 Avendolo progettato, sapevo che l’unico modo per uscirne era passare dal cielo, e, non avendo perso le mie doti da inventore, realizzai con l’aiuto del mio primogenito due paia di ali, che ci avrebbero salvati.
Le fissammo ai nostri dorsi con della cera, e ci preparammo per il nostro volo di salvezza. Spiegai infinite volte a Icaro che durante il nostro viaggio ci saremmo dovuti tenere a un’altezza media, senza lasciarci prendere dal piacere di questa nuova esperienza, che altrimenti ci avrebbe portato a un brutto destino. Fatti gli ultimi preparativi, partimmo alla volta dell’alto. Durante la prima parte del tragitto tutto procedette secondo i piani, ma, dopo questi momenti gloriosi, mio figlio venne catturato dall’entusiasmo di questa sensazione, e si allontanò da me, sempre più vicino al Sole, nonostante tutte le mie raccomandazioni.  In questo modo andava incontro a morte certa!
Continuava a volteggiare così rapito da questa emozione che non si accorse della cera che tendeva a sciogliersi sotto i caldi raggi solari. Senza avere il tempo per escogitare un tentativo di aiuto, le ali lo abbandonarono, e cadde in basso, sempre più giù, finendo nel mare, dal quale non ricomparve.
Seppur con il cuore affranto, dovevo continuare il mio viaggio, e volai fino in Sicilia, dove lasciai le mie ali, in memoria del giovane compagno che, preso dalla felicità, si dimenticò quello che lo avrebbe salvato.

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.