Sono Dedalo, grande scultore. Le mie opere
godono di immensa fama, sento complimenti da ogni dove.
Ho ricevuto la capacità in quest'arte dalla dea Atena, e ho perciò deciso di non sprecare una simile opportunità divina, insegnando a mio nipote tutto quando possedevo, ma egli diventò
estremamente bravo.
Accadde quel che doveva accadere.
Venni, a mio parere, ingiustamente punito,
e il tribunale mi condannò a un esilio perpetuo sull’isola di Creta.
Ovviamente, il mio nome era conosciuto anche fuori i confini della Grecia
peninsulare, e poco dopo che sbarcai, venni fatto chiamare dal re Minosse, che
mi assegnò un arduo compito.
Avrei dovuto realizzare per lui un
labirinto, nel quale sarebbe stato poi posto un Minotauro, una creatura formata
per metà da un uomo e per l’altra da un toro.
La costruzione doveva essere talmente articolata che nessuno sarebbe mai
riuscito a uscire dalla trappola mortale che dovevo progettare. Preparai tutto
nei minimi dettagli, e, a opera conclusa, il Labirinto era magnifico.
Un giorno, Arianna, la figlia di Minosse,
venne a cercarmi per essere aiutata: doveva riuscire a salvare Teseo,
riportandolo fuori dal Labirinto una volta ucciso il mostro. I due riuscirono
nell’impresa, ma subito il re venne a conoscenza di questo fatto, e venni
rinchiuso insieme a mio figlio Icaro nella mia stessa costruzione.
Avendolo progettato, sapevo che l’unico modo
per uscirne era passare dal cielo, e, non avendo perso le mie doti da
inventore, realizzai con l’aiuto del mio primogenito due paia di ali, che ci
avrebbero salvati.
Le fissammo ai nostri dorsi con della cera,
e ci preparammo per il nostro volo di salvezza. Spiegai infinite volte a Icaro
che durante il nostro viaggio ci saremmo dovuti tenere a un’altezza media,
senza lasciarci prendere dal piacere di questa nuova esperienza, che altrimenti ci avrebbe
portato a un brutto destino. Fatti gli ultimi preparativi, partimmo alla volta
dell’alto. Durante la prima parte del tragitto tutto procedette secondo i
piani, ma, dopo questi momenti gloriosi, mio figlio venne catturato dall’entusiasmo di questa sensazione, e si allontanò da me, sempre più vicino
al Sole, nonostante tutte le mie raccomandazioni. In questo modo andava incontro a morte certa!
Continuava a volteggiare così rapito da questa
emozione che non si accorse della cera che tendeva a sciogliersi sotto i caldi
raggi solari. Senza avere il tempo per escogitare un tentativo di aiuto, le ali
lo abbandonarono, e cadde in basso, sempre più giù, finendo nel mare, dal quale
non ricomparve.
Seppur con il cuore affranto, dovevo
continuare il mio viaggio, e volai fino in Sicilia, dove lasciai le mie ali, in
memoria del giovane compagno che, preso dalla felicità, si dimenticò quello che
lo avrebbe salvato.
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