America meridionale, Brasile.
Vagavo per la foresta pluviale. Abbracciato dalla più totale
curiosità. Ero giovane, resistente, forte,
sapevo tutto. Qualsiasi cosa. Qualcuno
mi poneva domande, io rispondevo.
Studiavo i volatili, li osservavo, cercavo di comprendere il loro
comportamento, il loro carattere, li capivo, loro capivano me.
“Stavo meglio con i miei amici pennuti, che con le persone!”
Ara, Amazzone, Cacatua , Cocorito. Il Cacatua, il mio
preferito. Mentre correvo per le grandi
foreste brasiliane, i sandali di cuoio si smangiavano lentamente, consumandosi.
Avevo costruito una capanna in legno,
nei pressi della grande foresta. Era come se ci vivessi. Lì tenevo il mio
Cacatua, Tullio. Lì, vi erano oltre tutti i pennuti malati, feriti che trovavo
durante le mie passeggiate speranzoso, di scovare nuove specie sempre più
affascinanti. Quel giorno, era un giorno
di pioggia, nonostante il tempo malvagio, andai ugualmente alla casetta di
legno. Tullio se ne stava ritto, mi fissava. Mi fissava in un modo piuttosto
strano. Avevo subito inteso quello
sguardo perso. Qualcosa non andava. Ma
qualcosa non andava in Tullio o a qualcun altro? Uscii di corsa dalla
capanna, inciampai fra un ramo. Vidi un
pennuto, un ara blu a terra. Spossato. Senza un’ala. Subito presi una foglia
bagnata dall’acqua della pioggia e vi avvolsi il volatile attorno ad essa. Tremava
dal freddo, lo portai immediatamente al rifugio. Appena arrivai la prima cosa
che vidi non fu Tullio, perché Tullio non c’era. Ero piuttosto tranquillo, era
solito farmi scherzetti. Scappava per qualche ora, per poi ritornare
immediatamente. Chiusi la porta dietro di me con un colpo secco, presi una coperta di lana e vi appoggia il
pennuto ferito. Si chiamava blu, aveva poca vita. Sapevo che non sarebbe
riuscito a volare ancora. Sapevo che non ce l’avrebbe fatta. Subito gli diedi
dei semi di girasole, lo scaldai un poco, lo lavai e poi lo asciugai. Lo misi al
caldo e protetto, nella disordinata postazione di Tullio. Tullio, non era
ancora rientrato. Cominciai a preoccuparmi. Fischiai al di fuori della piccola
finestrella, nessuna risposta. Aspettai ore.
Sentii un tonfo, sgattaiolai velocemente fuori dalla capanna in legno.
Una scena tremenda mi si presentò davanti agli occhi. Il mio Cacatua prediletto,
steso a terra esanime. Lo raccolsi
immediatamente. Lo riportai nel rifugio. Ora non era più l’Ara a tremare,
questa volta ero io. Distrutto. Disperato.
Le ali di Tullio ormai erano stanche, incapaci di sorvolare per ancora
una sola volta Rio de Janeiro.
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