sabato 14 dicembre 2013

Rio.

America meridionale, Brasile.  


Vagavo per la foresta pluviale. Abbracciato dalla più totale curiosità. Ero giovane, resistente,  forte, sapevo tutto. Qualsiasi cosa.  Qualcuno mi poneva domande, io rispondevo.  Studiavo i volatili, li osservavo, cercavo di comprendere il loro comportamento, il loro carattere, li capivo, loro capivano me.

“Stavo meglio con i miei amici pennuti, che con le persone!”

Ara, Amazzone, Cacatua , Cocorito. Il Cacatua, il mio preferito.  Mentre correvo per le grandi foreste brasiliane, i sandali di cuoio si smangiavano lentamente, consumandosi.  Avevo costruito una capanna in legno, nei pressi della grande foresta. Era come se ci vivessi. Lì tenevo il mio Cacatua, Tullio. Lì, vi erano oltre tutti i pennuti malati, feriti che trovavo durante le mie passeggiate speranzoso, di scovare nuove specie sempre più affascinanti.  Quel giorno, era un giorno di pioggia, nonostante il tempo malvagio, andai ugualmente alla casetta di legno. Tullio se ne stava ritto, mi fissava. Mi fissava in un modo piuttosto strano.  Avevo subito inteso quello sguardo perso. Qualcosa non andava.  Ma qualcosa non andava in Tullio o a qualcun altro? Uscii di corsa dalla capanna,  inciampai fra un ramo. Vidi un pennuto, un ara blu a terra. Spossato. Senza un’ala. Subito presi una foglia bagnata dall’acqua della pioggia e vi avvolsi il volatile attorno ad essa. Tremava dal freddo, lo portai immediatamente al rifugio. Appena arrivai la prima cosa che vidi non fu Tullio, perché Tullio non c’era. Ero piuttosto tranquillo, era solito farmi scherzetti. Scappava per qualche ora, per poi ritornare immediatamente. Chiusi la porta dietro di me con un colpo secco,  presi una coperta di lana e vi appoggia il pennuto ferito. Si chiamava blu, aveva poca vita. Sapevo che non sarebbe riuscito a volare ancora. Sapevo che non ce l’avrebbe fatta. Subito gli diedi dei semi di girasole, lo scaldai un poco, lo lavai e poi lo asciugai. Lo misi al caldo e protetto, nella disordinata postazione di Tullio. Tullio, non era ancora rientrato. Cominciai a preoccuparmi. Fischiai al di fuori della piccola finestrella, nessuna risposta. Aspettai ore.  Sentii un tonfo, sgattaiolai velocemente fuori dalla capanna in legno. Una scena tremenda mi si presentò davanti agli occhi. Il mio Cacatua prediletto, steso a terra esanime.  Lo raccolsi immediatamente. Lo riportai nel rifugio. Ora non era più l’Ara a tremare, questa volta ero io. Distrutto. Disperato.  Le ali di Tullio ormai erano stanche, incapaci di sorvolare per ancora una sola volta Rio de Janeiro. 

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