domenica 15 dicembre 2013

Me ne andai


La prima volta che aprì gli occhi, vi parlo quindi di cinquanta anni fa, l'aria riempì i suoi polmoni e pianse. 
Forse pianse dal dolore, forse pianse dalla felicità. Io penso fosse un pianto di rabbia, di grinta, di ''finalmente eccomi!'', ''finalmente!'', speranzoso di compiere cose incredibili in questa nuova vita. 
Essere speranzosi è il miglior modo per partire. 


9:00 a.m. Un giovedì qualsiasi. Un forte bagliore di luce penetrò attraverso i sporchi vetri opachi della mia finestra. La luce risvegliò gli acari silenziosi che fluttuavano nella stanza, oltre a me.
Aprii gli occhi, per l'ennesima volta nella mia vita.  
Ero coricato sul lato sinistro, identificai subito la finestra e la luce, era mattina.
Senza muovermi, cominciai a guardare. Durante la mia vita guardai molto, passavo gran parte del mio tempo ad osservare e mi chiedevo i ''perché'' delle cose. Mi sono fatto molte domande, ad alcune non ho trovato (ancora) risposta. 
In ogni caso, non mi facevo nessuna domanda quando guardavo la vita, al di là della finestra. Vedevo alberi alti e fiori piccoli, minuscoli. Vedevo che c'era dell'immenso e del microscopico, fuori. C'era la vecchiaia e la giovinezza, c'era della vita, e c'era della morte. Improvvisamente, l'Onnipotente (…Madre Natura) decise che in quell'istante si sarebbe levato un venticello e così, naturalmente, fu. 
Il vento fece cadere una seggiola di legno per bambini e scompigliò per un istante il naturale essere delle pianticelle in giardino. 
Il fiore della mia vita sarebbe sbocciato d'ogni lato se un vento crudele non avesse appassito i miei petali. 
Si arriva ad un certo punto della vita in cui non si è più arrabbiati. Non ci si chiede più il motivo di certe cose, si ha forse già capito tutto, dal lato che vedevate voi del villaggio. Al contrario, magari si capisce che non serve chiedersi altro, magari non ci sono piaciute le risposte precedenti e si preferisce non sapere. 
Con un sospiro insignificante ma fortemente sentito dentro, mi girai a pancia in su.
Faceva male tutto, un male che non significava ''ahi che male!'' ma piuttosto un ''quando finisce tutto questo?'' 
Agli acari non importava di me. Erano ancora in aria, nella striscia bianca di luce della stanza. Dalla polvere levo la mia protesta: il mio lato in fiore voi (acari) non lo vedeste! 
Persino instaurare un taciturno dialogo con elementi privi di parola della mia stanza era meglio che parlare con gli umani al mio capezzale. 

9:10 a.m. Dopo dieci minuti si accorsero che ero sveglio. Si preoccuparono tutti di portarmi dell'acqua da bere, di sistemarmi meglio il cuscino. Erano tutti indaffarati, cercavano sempre di compiere un gesto, di pensare a qualcosa, di fare qualcosa.
Voi, i vivi, siete davvero degli sciocchi
e non sapete le vie del vento
e le forze invisibili
che governano i processi della vita. 
Me ne andai accompagnato da un ironico sorriso.
(9:11 a.m.)

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