“Ti
condanno alla prigionia, con tuo figlio, nel labirinto che tu stesso
hai progettato!” Erano queste le parole che, da giorni ormai,
torturavano ogni secondo la mia mente. Quanto mai avevo aiutato
quella ragazza? Ne valeva davvero la pena? Assolutamente no, ma
dovevo pensarci prima. Ormai ero confinato all'interno di quella
struttura che metteva i brividi a chiunque.
Vedevo il povero Icaro,
mio figlio, sempre peggio: denutrito, assonnato, stanco e senza
forze. Erano giorni ormai che tutto ciò che vedevamo erano muri ed
erbacce. Ma sapete, orma mi ero stufato. Da quando eravamo entrati
lì, il nostro umore era sceso sotto zero. Non avevamo neanche
cercato un modo per andarcene, ci eravamo abbattuti e non avevamo mai
avuto un briciolo di speranza. Non doveva andare così, non potevamo
arrenderci senza neanche aver fatto un passo all'interno del ring di
battaglia. Doveva esserci un modo per sopravvivere. Non poteva finire
così.
E
allora iniziai a pensare come raramente avevo fatto. Passavo le
giornate a guardarmi attorno sovrappensiero, a disegnare cose senza
senso sulla terra. Suppongo che il povero Icaro credesse che
l'isolamento mi avesse dato alla testa, finché finalmente, mi si
illuminarono gli occhi.
Iniziai
a lavorare su qualcosa che all'inizio Icaro non riuscì a
riconoscere, ma poi tutto fu chiaro ad entrambi. Erano delle ali, due
paia. Icaro sembrava essere sul punto di esplodere dalla gioia, ma a
me venne naturale pensare alle conseguenze se qualcosa non fosse
andato come avevamo previsto. Eppure, quali altre possibilità
avevamo? Allora finii di fabbricarle, e vedendo il risultato, non
vidi l'ora di attaccarmele alle spalle e volare via. Appena prima
della partenza, dedicai un'oretta a preparare mio figlio ai pericoli
del viaggio: le ali erano attaccate alle spalle con della cera, e se
questa si fosse riscaldata, si sarebbero staccate da lui. Per questo
motivo doveva starmi il più vicino possibile. Icaro sembrava aver
capito, così prendemmo il volo.
Sentii
una fantastica sensazione di adrenalina infondermisi nel corpo. Il
cuore mi batteva talmente forte che credevo potesse saltarmi fuori
dal petto. E credo che questo successe anche a Icaro, ma non sembrava
riuscire a controllarlo. Andò sempre più forte, sempre più in
alto, finché non sentì un mio urlo che lo chiamava, giusto il tempo
di avvertire sulla sua schiena la cera che si scioglieva. Sbarrò gli
occhi, muovendo freneticamente le braccia all'indietro, nel tentativo
di rimettersele a posto. Ma era troppo tardi. Sentì l'aria che gli
sbatteva contro il viso sempre più forte, non riusciva a tenere
aperti gli occhi. Si muoveva furiosamente, compiendo gesti senza
senso, ma in quel momento come poteva ragionare? Continuò così per
qualche secondo, quando sentii un tonfo, e poi nulla. Vidi mio figlio
in una tomba d'acqua. Avevo l'impressione che il tempo andasse a
rallentatore, così da poter vedere la vita del mio unico raggio di
sole spegnersi definitivamente.
Un
dolore al petto che mai avevo provato, mi fece desiderare di morire.
Così da non sentire più nulla. Ma questo non successe, e potei solo
accettare la cosa.
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