martedì 6 gennaio 2015

Imprigionati


Ti condanno alla prigionia, con tuo figlio, nel labirinto che tu stesso hai progettato!” Erano queste le parole che, da giorni ormai, torturavano ogni secondo la mia mente. Quanto mai avevo aiutato quella ragazza? Ne valeva davvero la pena? Assolutamente no, ma dovevo pensarci prima. Ormai ero confinato all'interno di quella struttura che metteva i brividi a chiunque.
Vedevo il povero Icaro, mio figlio, sempre peggio: denutrito, assonnato, stanco e senza forze. Erano giorni ormai che tutto ciò che vedevamo erano muri ed erbacce. Ma sapete, orma mi ero stufato. Da quando eravamo entrati lì, il nostro umore era sceso sotto zero. Non avevamo neanche cercato un modo per andarcene, ci eravamo abbattuti e non avevamo mai avuto un briciolo di speranza. Non doveva andare così, non potevamo arrenderci senza neanche aver fatto un passo all'interno del ring di battaglia. Doveva esserci un modo per sopravvivere. Non poteva finire così.
E allora iniziai a pensare come raramente avevo fatto. Passavo le giornate a guardarmi attorno sovrappensiero, a disegnare cose senza senso sulla terra. Suppongo che il povero Icaro credesse che l'isolamento mi avesse dato alla testa, finché finalmente, mi si illuminarono gli occhi.
Iniziai a lavorare su qualcosa che all'inizio Icaro non riuscì a riconoscere, ma poi tutto fu chiaro ad entrambi. Erano delle ali, due paia. Icaro sembrava essere sul punto di esplodere dalla gioia, ma a me venne naturale pensare alle conseguenze se qualcosa non fosse andato come avevamo previsto. Eppure, quali altre possibilità avevamo? Allora finii di fabbricarle, e vedendo il risultato, non vidi l'ora di attaccarmele alle spalle e volare via. Appena prima della partenza, dedicai un'oretta a preparare mio figlio ai pericoli del viaggio: le ali erano attaccate alle spalle con della cera, e se questa si fosse riscaldata, si sarebbero staccate da lui. Per questo motivo doveva starmi il più vicino possibile. Icaro sembrava aver capito, così prendemmo il volo.
Sentii una fantastica sensazione di adrenalina infondermisi nel corpo. Il cuore mi batteva talmente forte che credevo potesse saltarmi fuori dal petto. E credo che questo successe anche a Icaro, ma non sembrava riuscire a controllarlo. Andò sempre più forte, sempre più in alto, finché non sentì un mio urlo che lo chiamava, giusto il tempo di avvertire sulla sua schiena la cera che si scioglieva. Sbarrò gli occhi, muovendo freneticamente le braccia all'indietro, nel tentativo di rimettersele a posto. Ma era troppo tardi. Sentì l'aria che gli sbatteva contro il viso sempre più forte, non riusciva a tenere aperti gli occhi. Si muoveva furiosamente, compiendo gesti senza senso, ma in quel momento come poteva ragionare? Continuò così per qualche secondo, quando sentii un tonfo, e poi nulla. Vidi mio figlio in una tomba d'acqua. Avevo l'impressione che il tempo andasse a rallentatore, così da poter vedere la vita del mio unico raggio di sole spegnersi definitivamente.
Un dolore al petto che mai avevo provato, mi fece desiderare di morire. Così da non sentire più nulla. Ma questo non successe, e potei solo accettare la cosa. 

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