domenica 30 giugno 2013

chi conosce Terry Lennox?

Quando lo vidi per la prima volta, Terry Lennox era ubriaco in una Rolls Royce fuori serie, di fronte alla terrazza del "Dancers”. La cravatta allentata ed i folti capelli biondastri scompigliati, aveva impressa a fuoco in ogni lineamento del viso scarno l’aria di chi, al di là di ogni ragionevole dubbio, deve aver appena trascorso una serata da ricordare. 



Per essere precisi non sarebbe completamente esatto, da parte mia, sostenere che quella sopra descritta fu la prima volta in cui, effettivamente, lo vidi ; ma la difficoltà con la quale riuscii a riconoscere, dopo minuti interi, il ragazzino irreverente che era stato la disperazione del professor Falstaff ai tempi del Ginnasio in quell’uomo fatto, palesemente ubriaco, mi convinse in qualche modo circa l’assoluta eccezionalità di quell’apparizione notturna.

-Vuol parcheggiar qui, Signore?- Fu tutto ciò che domandai. In fin dei conti, quella era la mia mansione: custode del parcheggio notturno di un locale, signori e signori; tutt’altro che un compito di alto livello e ne ero, ahimè, perfettamente consapevole , benchè anche quell’entrata miseranda fosse ormai divenuta indispensabile alla mia famiglia, nel tentativo forse vano di appianare i debiti di gioco di mio padre -…Prego. Faccia pure con comodo. Poche sterline e non si dovrà più preoccupare di eventuali buontemponi nottambuli. Parola mia…-

Lennox mi squadrò per qualche istante, cercando vanamente di mettere a fuoco l’immagine dell’umile funzionario che doveva esserglisi, a quanto pareva, appena rivolto con estremo ma persuasivo garbo.

-Non ci siamo già visti da qualche parte?- Indagò, riuscendo a stento a mantenere il busto eretto, sebbene lascivamente appoggiato agli opulenti sedili in pelle nera della sua tutt’altro che discreta autovettura. Deglutii, mentre il più sincero imbarazzo si impadroniva della mia persona, poveramente rivestita dalla lisa uniforme color porpora dei sottopagati dipendenti del Dancer. 

Diavolo: avrei dovuto immaginarlo che riconoscermi sarebbe stato dannatamente facile. Mentre Terry, se non fosse stato per la mia non trascurabile attitudine alla memoria fisionomica, avrebbe infatti potuto benissimo sfilarmi davanti agli occhi, dopo tutti questi anni, restando clamorosamente anonimo, beh; molto difficilmente io avrei potuto passare inosservato, col mio volto sbarbato da bambino che, dagli anni della scuola, non era ahimè cambiato di una virgola, di fronte ad un occhio anche solamente in minima parte allenato. Mi si aprivano dunque, dinanzi gli occhi, un ventaglio di possibilità, per la verità neppure troppo numerose: ostentare la più assoluta ignoranza di fronte a quella ben precisa domanda oppure, viceversa, confessare, riportando per l’ennesima volta a galla il grave scandalo che aveva travolto, ormai a due anni a quella parte, la mia sventurata famiglia?

Già ritornavo in grado di visualizzare, non senza un gelido brivido, i titoli dei quotidiani locali.

“Nobile famiglia locale perde il suo intero patrimonio. Causa: debiti di gioco…”.

“Asta giudiziaria assegna la magione ottocentesca dei Goldbrown al migliore offerente..” 

Deglutii, mortificato. Ero esattamente conscio di stare andando incontro, nella migliore delle ipotesi, al solito sguardo mortificato che i vecchi amici di papà erano soliti rivolgermi, nello scoprire che il giovane Winniefred Goldbrown era divenuto, da loro acceso avversario durante le partite di curling, soltanto l’ennesimo dei subalterni che avrebbe lustrato loro le preziose scarpe da barca.

Eppure, non so bene perché, dissi di sì.
-Eravamo a scuola insieme, ai tempi del college…- Cercai di cavarmela spicciamente, mentre l’autista di Terry, il vecchio Raphael, mi puntava a sua volta addosso i suoi piccoli occhietti porcini -…sono Winniefred. Winniefred Goldbrown..- 

Alle mie parole, del tutto incredibilmente, Terry sembrò addirittura riscuotersi dal patetico stato di prostrazione alcolica in cui versava, per rivolgermi, per la prima volta, uno sguardo sinceramente colpito.


-Winnie? Winniefred Goldbrown? Il secchione? – Indagò, con aria sconvolta -…che mi venga un colpo. Non dovresti essere ad insegnare da qualche parte, dall’alto di una prestigiosa cattedra accademica, adesso?
Mi strinsi nelle spalle sicuro che, l’estinzione di quasi ogni nostra ricchezza, balzata all’interesse unanime delle cronache locali, non avrebbe di certo tardato a richiamarsi neppure alla memoria, per quanto provata dal massiccio afflusso di alcool, del mio interlocutore.

-Ah già. Tuo padre e il vizio del poker. Brutta storia, amico mio. Brutta storia…- Tossicchiò, quasi per scusarsi della gaffe, mentre dal canto mio mi stringevo nelle spalle -..mi sono sentitamente dispiaciuto quando sei finito in prima pagina, Winnie. Era così che ti chiamavano. Eri uno studente promettente; un vero peccato. E così, ora, è qui che sfacchini?

Terry si accese un sigaro: la fiammella dell’accendino infiammò il suo cubano come una stilla viva di linfa incandescente per poi smorzarsi, tra le sue mani, nella notte illuminata dai pochi lampioni opalescenti.

-Sì, signore. Poche sterline davvero, se vuole parcheggiare. ..- Ripetei dal canto mio, meccanicamente, nella vaga speranza di riuscire ad allontanarmi, al più presto, da lì…- Non si vorrà perdere lo spettacolo di mezzanotte, spero. E’ caldamente raccomandato….- 

-Mi dai addirittura del “lei”, adesso, Winnie? – Per tutta risposta, Terry Lennox rise di gusto: d’una risata che, sgradevolmente, scosse tutto il suo corpo magro, che cigolava quasi, come un vecchio cardine arrugginito …- Te ne prego….non così “formale”. In fin dei conti, siamo o non siamo vecchi compagnucci di scuola? -
Faticosamente, annuii. Terry Lennox era sempre stato un personaggio decisamente scomodo, sin dai tempi del liceo ,che tanto si divertiva a rivangare per mortificarmi. Le ragazze lo desideravano per la sua indubbia avvenenza fisica e, al tempo stesso, ne avevano paura. I giovani uomini tentavano disperatamente di essergli amici, temendo le facilmente immaginabili conseguenze dell’inimicarselo, mentre i professori, più di una volta, si ritrovavano, freddati dal suo sagace umorismo noir, semplicemente, in silenzio.   Era figlio di un ricco petroliere irlandese, inimicato in traffici non propriamente limpidi con la chiesa separatista che, ovviamente, si era dichiarata svergognata in seguito al divorzio del figlio dalla moglie Annie Sedfried, mettendo il povero Terry, ingiustamente derubato di metà del proprio patrimonio dalla stregonesca bionda, al bando della comunità. Ora, solo e schivato dai più, riusciva a fare quasi tenerezza anche a me che avevo pur sempre, sebbene squallidamente povero, conservato in toto la mia personale dignità: ovunque andasse veniva seduta stante bersagliato da occhiate tutt’altro che incoraggianti e sembrava quasi mendicare, disperato, un contatto umano. Nessuna sorpresa, dopo tutto, che non morisse quindi dal desiderio di fare il suo ingresso nel locale, come sempre circondato dal gelo e dall’indifferenza più totali....
-Lo siamo stati, Signore..- Ripresi quindi, reverente come sempre.
-Bravo. E allora, infischiamocene di questi ridicoli paletti sociali. Sono così noiosi..- Riprese Lennox, con un fiacco gesto di mano - Ed anzi: me lo faresti un favore, Goldbrown, prima che io faccia finalmente dietro front e me ne torni, una buona volta, verso casa?

-...Direi di sì, Signore..-  Mi risolsi a dire, imbarazzato. Per la verità, il proprietario del locale, il vecchio Fred Shutton, era stato estremamente chiaro: “Schioda un secondo dal parcheggio e puoi dire addio alla tua paga settimanale, ragazzo”.
Non sembrava minimamente ragionevole che io, caduto in miseria a causa del vizietto di mio padre, mettessi quindi a rischio il mio misero compenso per servire un uomo spaventosamente ricco che, viceversa, non aveva mai avuto la premura di alzare un solo dito per me: neppure quando eravamo parigrado. Eppure, per la seconda volta, senza sapere assolutamente perchè, sentii il bisogno di venirgli incontro: leggevo nei suoi occhi una profonda tristezza che, ne ero sicuro, neppure tutti i soldi del mondo sarebbero riusciti ad appianare.
-Ottimo. Potresti andar là dentro ed ordinare un goccetto a nome di Terry Lennox, mio caro, e dire che il Gran Signore se ne infischia se da quei mammalucchi del Dancer non è benvoluto, e sceglie deliberatamente di consumare fuori?
Sbattei le ciglia, interdetto. Di certo avrei apportato una doverosa censura alle parole suggeritemi da Terry ma, in cuor mio, avevo già deciso, per vie del tutto misteriose, che la cosa fosse irrevocabilmente da farsi.
Con i soldi di Lennox stretti nella mano varcai la soglia dello sfarzoso Lounge Bar, illuminato da tenui luci indaco soffuse e, avendo cura di rivolgermi allo scorbutico barista con la massima cautela, ordinai un Gin tonic a suo nome.
-Prego?

Per tutta risposta Wolfgang, l’inavvicinabile e irsuto barman con le sembianze di un taglialegna vestito a festa, mi si rivolse duramente, decisamente seccato.
-Che scherzo è mai questo, ragazzo?- Domandò, quasi ruggendo -...lo sanno tutti che Lennox è morto stecchito.
  -Morto?- Indagai, spalancando a dismisura le mie iridi verdastre -...come sarebbe a dire?
-Sarebbe a dire caput, mi hai capito?-Insistette lui mentre io rimanevo, sempre più stupefatto, ad ascoltarlo senza riuscire a comprendere - Passato all’altro mondo, ti dico.  Si è accoppato un mese fa, per colpa di quella strega della moglie che gli aveva rovinato l’esistenza.  Ha deliberatamente manomesso i freni dell’auto, accoppando anche il disgraziato autista. Per cui, se vuoi farti un goccetto, non hai che da chiedere, perdiana. Ma senza scomodare i morti...-
-Capisco...-

Come in uno stato di trance feci dietro front, sperando che, una volta faccia a faccia con l’uomo con il quale avevo dialogato sino a pochi istanti prima, avrei ricevuto le dovute spiegazioni. Diamine, non poteva essersi trattato di un’allucinazione: io ero perfettamente lucido e, di conseguenza, in grado d’ affermare di essere assolutamente sicuro che colui a cui mi ero rivolto doveva essere nient’altri che Terry Lennox.
Come obbedendo al copione di un macabro e ben congegnato scherzo, tuttavia, la Rolls Royce di Terry era scomparsa dal parcheggio in cui era avvenuto il nostro bizzarro incontro. Soltanto Raphael, l’anziano autista, rimaneva a sedere su uno scosceso muretto, probabilmente in mia attesa, rivolgendomi un sorriso enigmatico che sembrava essere l’unica prova della veridicità dell’assurda situazione appena occorsa.
Mi diressi verso di lui con tutta l’intenzione di restituirgli i soldi affidatimi da Terry ma, con amaro stupore, mi accorsi che tra le mie mani non compariva più nulla, che non fosse il loro palmo. A quel punto non mi restò che scrutarlo, in cerca di risposte, con una traccia di sincero terrore viva negli occhi.
-Il padrone doveva assolutamente essere di ritorno, prima della Mezzanotte..- Fece il vecchio, scrollando il capo - Ma ci teneva tanto, che lei avesse questo..-
Mentre l’antico campanile batteva i rintocchi della mezzanotte, mi decisi ad afferrare, quasi timoroso di toccarla, la busta bianca che Raphael mi porgeva,  ermeticamente chiusa da un sigillo di rossa ceralacca. Non provai neppure a soffermarmi a ringraziare il vecchio: ero infatti sicuro che, come un’allucinazione evanescente, a sua volta sarebbe sparito non appena avrei accennato a posare nuovamente gli occhi su di lui.
E così fu.

“Signor Winniefred Goldbrown,
Il nostro Istituto è lieto di offrirLe, in virtù dei Suoi lodevoli meriti accademici e professionali, un dottorato di ricerca regolarmente remunerato presso la facoltà di Storia. Voglia scusare il lieve ritardo con cui tale missiva L’ha raggiunta: soltanto di recente, infatti, è stato possibile eseguire un’attenta ed adeguata valutazione del Suo curriculum, dietro suggerimento di uno dei nostri più ferventi finanziatori: il compianto Signor Terence Samford Lennox.
Con l’augurio che Lei voglia essere al più presto dei nostri ed avendo cura di allegare i recapiti necessari per mettersi in contatto al più presto con i nostri uffici
Sentitamente
Direzione della Harvard University”

Incredulo di fronte a quella lettera, che forse rappresentava la soluzione a tutti i miei problemi, sebbene l’istinto di gioire spudorato stesse divenendo sempre più impellente, non potei che riportare di nuovo alla memoria i tempi della scuola ai quali più volte, nel corso di quella folle serata, avevo fatto ritorno con la mente.
Aveva decisamente ragione il professor Falstaff che, seppure dalla scolaresca intera era deriso, in virtù della sua superstizione, non mancava mai di sostenere quanto fosse importante “aiutare un fantasma” a qualunque costo poichè, di certo, una buona azione non sarebbe rimasta impunita.
Sorrisi.
Aveva ragione. Ed un fantasma come Terry Lennox, d’altronde, non si sarebbe mai smentito.

Avrebbe fatto le cose decisamente in grande.

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