Mi sento sempre attratto dai posti dove sono vissuto, le case e i loro dintorni…
come quando ritornai in Algeria, dopo anni e anni dalla Guerra.
Era tutto cambiato, ovviamente, fortunatamente.
Non ricordo molto della mia abitazione, alloggiavamo al piano terra di un grigio edificio, avevamo anche un giardino dove noi bambini giocavamo.
Rammento un profumo, quello di mia madre. E un altro ancora, questa volta più secco, una essenza che invadeva la casa dopo mangiato... probabilmente del caffè. Sì, proprio del caffè che preparava Denise. Verso inizio pomeriggio, certe signore, venivamo sempre a chiacchierare con lei, la quale offriva il caffè nei più belli servizi che avevamo.
Ricordo, ovviamente, Il Giorno. Quella mattina mamma Denise mi sveglia agitata e mi dice di prendere i miei giocattoli perché dovevamo andare.
(Avevo appena due anni, magari non mi credete, ero piccolo, ma certi fatti rimangono impressi)
E così, andammo.
Quando sbarcammo al porto, c’erano tanti come noi.
Mi è ancora chiara la visione di quel caldo pomeriggio.
I francese ci guardavano, ci guardavano male.
Occhiatacce. Disprezzo. Sdegno. Diversità e Guerra.
Ero il più piccolo tra i miei fratelli, quello che subiva sempre scherzi e insulti.
Non andavo molto d’accordo con loro, ma pensavo comunque di doverli ammirare dato che erano i più grandi, e seguendo il loro buon esempio, mi fecero fumare la prima sigaretta e mi fecero fare altre cose che è meglio evitare di dire.
Ricordo che a scuola ero vittima di bullismo, ero il più piccolo della classe, i miei genitori mi avevano mandato a scuola prima, fortuna che c’era un mio amico, JeanPierre, ragazzo forzuto e molto alto che mi difendeva. Lui sì che sapeva farsi rispettare.
A ventidue anni, ‘’Au revoir maman’’.
Per colmare la mia solitudine ma anche per seguire la mia amata, mi misi in viaggio (dopo aver studiato e lavorato a Parigi e in molte altre città) per l’Italia.
Seconda moglie da cui il mio secondo figlio. Figlia
(andava molto daccordo con suo fratello)
In tutti questi anni, ho viaggiato, sono scappato, in diverse case.
Ricordo la prima casa dove dormì mia figlia. Piccolissima. C’era solo un letto matrimoniale, lei dormiva tra di noi. C’era anche un armadio, fatto di mattoni raccolti da mia moglie. Poche stoviglie. Solo l’indispensabile. Una casa molto semplice.
Dopo di quella, traslocammo ancora due volte, sempre più benestanti. Arrivammo persino ad avere un cortile tutto nostro, dove la piccola giocava. Quando tornavo dal lavoro correva verso di me ridendo; un giorno si sbucciò anche un ginocchio perché era scivolata sul cemento, vedendomi, volendomi saltare addosso.
Potrei anche parlare della mia ultima dimora, quella stanza dalle pareti gialle soffocanti. Da dove mi trovavo io potevo scorgere al di fuori della finestra un bellissimo giardino. Non so neanche io se fosse bellissimo o meno ma era dall’altra parte del muro quindi per me doveva essere favoloso.
Ricordo un odore di pulito.
Ricordo anche molte altre cose di quella stanza, ma non ne voglio parlare.
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