giovedì 15 maggio 2014

Sempre insieme.

"Sempre?" "Sempre."
"Insieme?" "Insieme."
"Okay?" "Okay."


Dove mi trovo? Non lo so. Tutto è così buio che non riesco a vedere ad un palmo dal mio naso. 
Forse sono svenuta, o peggio, morta. 
Sento il cemento sotto di me, il vento accarezzarmi la schiena, sferzandomi la ferita al braccio. 
Non sono morta. 
Lentamente provo ad aprire gli occhi ed ecco che finalmente scorgo qualcosa, nonostante i contorni non siano per niente nitidi.
Macerie. 
Le macerie di una scuola che per sette lunghi anni non è stata solo un noioso edificio dove ogni Casa veniva rinchiusa e costretta ad imparare a memoria assurde parole quasi impronunciabili. 
Le macerie di una famiglia che mi ha insegnato cosa significhi lottare per un ideale in cui si crede fermamente, cosa siano il coraggio, l'ambizione, l'amicizia, la dedizione allo studio e cosa si provi a perdere qualcuno per sempre. 
Mi alzo ed ecco che li vedo correre per quello che resta delle scale a cui "piace cambiare."
Il Rosso e la Bionda per mano, il Moro esattamente davanti a loro.
Lei piange, lui tenta di consolarla, l'altro li osserva con le lacrime agli occhi.
E' ora di andare, penso. 
Loro se la caveranno, loro salveranno la nostra famiglia.
Loro ci saranno per sempre, riposti accuratamente sullo scaffale più alto della mia libreria, occupati a tenermi d'occhio, mentre io cresco con loro nel cuore. 

Come sono arrivata attraverso il muro di una stazione, nello stesso modo cerco di andarmene sperando di arrivare finalmente a casa.

Sbagliato. 

Sono nel mezzo di una foresta tropicale, nascosta tra gli alberi, o per meglio dire, esattamente sul ramo più alto di un albero.
Da qui posso vedere la spiaggia, il mare, l'orologio, il campo di forza. 
Tic Tac, sono dentro un orologio.
Mi aggrappo con forza al ramo, non voglio cadere, non dopo essere riuscita a sopravvivere ad un'intera arena almeno una volta in tutta la mia vita.
 Da lì posso vedere tutto, e con "tutto" intendo anche loro.
Non sono mai sembrati più indifesi, accovacciati nella sabbia, mano nella mano, i visi sporchi di sangue,  diverse ferite sulle braccia.
Lui, il Ragazzo Del Pane, la guarda come se lei,  La Ragazza Di Fuoco, al suo fianco, fosse la cosa più bella del mondo.
Come se fosse la sua perla. 
Finalmente lui tira fuori una perla e gliela ripone fra le mani tenute strette come fossero una conchiglia. 
Ed ecco che quel' "insieme" sussurrato un anno prima, con Morsi della Notte al posto di perle tra le mani, non è mai stato più vero. 
Scendo dall'albero ed inizio a sfregarmi gli occhi con il dorso della mano per sbarazzarmi di stupide lacrime.
E' giunta l'ora di abbandonarli, insieme, per sempre, tra le pagine ingiallite e un po' rovinate di tre libri, due cuori ed una ghiandaia imitatrice.

Arrivo davanti al campo di forza e noto che poco lontano da esso cresce un Dente di Leone.
Sorrido malinconica, raccolgo il fiore, prendo un respiro profondo e mi getto contro il campo attendendo la scossa e le fitte lancinanti.
E poi, buio.

Dove sono? Ah già! Nel letto di camera mia.
Devo essermi addormentata... Ma che ore sono?
Non importa, io stavo leggendo! Dov'è finito il mio libro? Oh ecco lì, a terra.
A che punto ero? Sì, quando Augustus e Hazel vanno ad Amsterdam.
Non voglio andare avanti con questo libro, non voglio finirlo, non voglio perdere Hazel o Augustus, non voglio che se ne vadano anche loro come tutti.
Ma alla fine, è proprio in momenti come questi che capisco di non essere completamente sola.

"Sono stati i libri a farmi sentire che forse non ero completamente solo. Erano capaci di essere onesti con me, e io con loro."
-Cassandra Clare, Clockwork Prince, WH.








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